Ecco perché non si può lasciare il campo alla violenza dei talebani

Una frase, in piena notte, guardando le modelle che a Motta Visconti, in provincia di Milano, sfilavano per la selezione di Miss Padania, e Umberto Bossi è tornato ad essere il Gianburrasca della politica estera italiana; originale, ma non sempre coerente, dall’euro al Kosovo. Ora tocca all’Afghanistan ed è di nuovo bufera o, più probabilmente, solo un temporale d’estate, che fa rumore, ma passa in fretta.
Bossi vorrebbe «portare a casa tutti i soldati italiani impegnati in Afghanistan». La ragione? «La missione costa un sacco di soldi e, visti i risultati, bisognerebbe pensarci su». Poi riconosce «che in Afghanistan c’è un problema internazionale che non è semplice da risolvere». Ma è troppo tardi, le agenzie hanno registrato le sue parole.
Di buon mattino tocca al ministro della Difesa Ignazio La Russa, precisare che la linea del governo non cambia. «Se pensassi da papà, come ha fatto Bossi, sarei d’accordo con lui, ma da ministri, come siamo entrambi, sappiamo che i ragazzi della Folgore e delle Forze Armate portano avanti un compito irrinunciabile, imprescindibile». Già, perché l’Italia non può permettersi sentimentalismi quando prende impegni in campo internazionale. «I ragazzi torneranno a casa quando avranno concluso l’obiettivo della missione». Il messaggio è chiaro ed è condiviso dal Pdl al completo.
Il capo della Farnesina Frattini annuncia addirittura l’invio di Tornado a sostegno delle nostre truppe, Brunetta ricorda che in Afghanistan «si gioca la nostra libertà». A sinistra solo l’Italia di Valori va in scia a Bossi chiedendo che «venga ridiscusso il senso della missione», il Pd no. Secondo Francesco Rutelli «non si può tornare indietro», mentre il segretario Franceschini punzecchia il governo dichiarando che «i ragazzi italiani che ogni giorno rischiano la vita hanno diritto a vedere dei ministri che non litighino tra di loro». Insomma, poca roba. Bossi per tutta la giornata tace, analogamente ai suoi collaboratori. Forse il temporale è già passato.
Sia chiaro: è lecito chiedersi se la questione afghana sia stata affrontata con saggezza. Doveva essere una guerra rapida, condotta dall’America all’indomani dell’11 settembre, con il plauso del mondo, per punire Al Qaida e i talebani. E inizialmente vincente, ma quando si trattò di concluderla davvero, nel 2003, l’Amministrazione Bush preferì dirottare le sue truppe migliori contro Saddam, lasciando a poche migliaia di soldati della coalizione internazionale il compito di garantire una pace che risultò ben presto apparente. una leggerezza, pagata a caro prezzo. E infatti mentre l’America si distraeva, impantanandosi in Irak, i talebani ne approfittarono per riorganizzarsi e riconquistare ampie regioni del Paese, riuscendo addirittura la scorsa primavera ad ampliare la loro influenza al Pakistan. Criticare gli errori dell’Occidente è legittimo, forse persino doveroso.
In chiave storica Bossi non ha tutti i torti. Ma il ritiro appare inverosimile e controproducente per il nostro Paese. Innanzitutto in termini di credibilità. Da molti anni i soldati italiani sono impegnati in diverse operazioni internazionali di peacekeeping al fianco dei nostri alleati e ora beneficiano di una reputazione considerevole. Non siamo più la Cenerentola d’Europa, ma un esercito che quando prende un impegno lo mantiene fino in fondo, che governi sia la destra che la sinistra. E l’Italia a Kabul ha sottoscritto un impegno nell’Isaf al fianco di 42 Paesi. Vogliamo davvero comportarci come Zapatero e gettare al vento l’autorevolezza tenacemente conquistata nei Balcani, in Libano e a Nassirya?
Abbandonare ora l’Afghanistan significherebbe riconsegnarle ai talebani e trasformarlo in un nuovo santuario del terrorismo internazionale. È davvero nel nostro interesse?
Non siamo soli. La Germania mercoledì ha usato i carri armati per la prima volta dal 1944 ed è pronta ad aumentare da 3.800 a 4.500 il numero dei soldati. La Merkel è saggia, equilibrata e governa una coalizione con la sinistra. Se si spinge fino a questo punto significa che lo ritiene necessario.

Anche perché alla Casa Bianca c’è Obama che sembra voler far tesoro degli errori di Bush. La vera sfida per gli alleati è di aiutarlo a trovare finalmente la strategia vincente, non solo militare, da realizzare rapidamente; perché le guerre non possono durare in eterno.

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