Serviva la «certezza che larbitro prescelto fosse un arbitro disposto ad agire nel senso della non correttezza e del non leale svolgimento della competizione». Ma questa certezza non cera e così il gip di Torino Elisabetta Chinaglia ha fischiato la fine dellinchiesta. Era il 9 settembre 2005 e ora quellarchiviazione viene giudicata dai giornali una sorta di peccato originale, di frutto avvelenato dellinevitabile condizionamento ambientale dei magistrati torinesi.
In realtà Elisabetta Chinaglia aveva motivato il suo provvedimento: la frode sportiva secondo lei non emergeva nelle numerose telefonate fra Luciano Moggi e il designatore degli arbitri Pier Luigi Pairetto, intercettate nel periodo compreso fra il luglio e il settembre 2004. Ci voleva, per immaginare un processo, la certezza che larbitro prescelto fosse disposto a piegarsi ad altri interessi. «Altrimenti - spiegava la Chinaglia - la mera preferenza nei confronti di un arbitro piuttosto che un altro potrebbe essere intesa esclusivamente come riferita alle capacità professionali dellarbitro designando, con conseguente insussistenza del profilo fraudolento».
In altre parole, Moggi chiedeva solo arbitri tecnicamente bravi.
Ecco perché Torino archiviò linchiesta
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