Questo calcio è un baraccone, inadeguato, infido, insomma gli è tutto da rifare. Diego Della Valle lo ha detto con stile un po più soft, tutto a postino come il modo di presentarsi, perfetto nei particolari, godibile nei toni come il suo vestire, evitando di dire la parola in più, ma senza perdere colpo nel tocco di fioretto. E lui, per autodefinizione tifoso del calcio e della Fiorentina, che si ritrova i figli con il naso eternamente infilato nei giornali sportivi e il fratello che diventa insopportabile quando gli rifila i calcetti durante le partite, sè voluto mettere lanimo in pace. «Non potevo stare in silenzio». Ora vi dico tutto, poi ciascuno faccia ciò che vuole. Forse. Ma non proprio. Ci sono pause che dicono più dei silenzi. Ed anche la voce bassa, il mono-tono sono colonna sonora di un «Non sto parlando a vanvera».
Dunque ieri Della Valle ha convocato i giornalisti nel suo bunker daffari nel centro di Milano, si è dimenticato di offrire un caffè, vabbè, ma ha servito lamaro a Moratti. «Le sue polemiche da bar non meritano più risposta. Tutto ha preso il peso delle polemica estiva ed ha distolto lattenzione dalla mia richiesta di un confronto civile. Il comportamento di Moratti si spiega da sè e le battute non hanno certo migliorato la considerazione su di lui».
Bene, messo a posto il nemico numero uno («Chiederemo conto nelle sedi ufficiali a chi ha istruito il processo contro la Fiorentina. Processo istruito con poca professionalità») poteva succedere tutto. Bordate al calcio, allo sciopero, ai dirigenti incapaci («Con alcuni non ci perderei nemmeno un minuto di tempo, e credo neppure voi»). Invece tanta filosofia e unidea lanciata a chi la vuol raccogliere. Qualcosa già affiorato tra zone Coni e qualche presidente (vedi De Laurentiis, che pur non deve stargli simpatico): «Nella finanza è la Consob a fare le regole, non le società. Allo stesso modo nel calcio serve una authority esterna che stabilisca regole e paletti e li faccia applicare costruendo un percorso per il calcio del futuro. Bisogna spazzare via tutto, riscrivere le regole. E, a farlo, non possono essere gli attori del calcio ma qualcuno con autonomia di operare. Il 30% dei presidenti la pensa come me, il 50% no perchè sono il mio opposto». La Consob fra laltro non obbliga nemmeno ad essere amici, gli uni con gli altri. E questa, per presidenti litigiosi, fragorosi e pronti a voltarsi le spalle ad ogni soffiar di vento, sarebbe una soluzione ideale. «Appunto, non conta parlarsi, basta seguire le regole».
Perfetto. Quindi Della Valle è un altro che ha scoperto nei presidenti quel gruppo eternamente in bilico tra incapacità e furbizia. «Pensano solo ai fatti propri. Difficile metterli insieme per parlare del futuro del calcio». Magari quotando in borsa... «Una cosa assurda, non saprei cosa raccontare agli investitori». Che dire? Della Valle ha ragione. Ma sta nel calcio attivo da dieci anni ed ancora è fermo alla presa datto. Giusto parlare di «scarsa competenza imprenditoriale». Ed ancor meglio rendersi conto che non cè alcun investitore straniero che voglia infilarsi nel calcio italiano. «Scappano tutti lontano». Peggio: «Ho amici tifosissimi, che potrebbero tenere una squadra a livello mondiale ma si tengono alla larga». Cè da diventare rossi. Ma di chi la colpa? Non lha detto con sintesi estrema, i presidenti, ma lo ha fatto intendere. «Dobbiamo ritrovare i valori persi. Riscrivere regole al di sopra dei rapporti personali: basterebbe un mese, le squadre si costruiscono nel tempo necessario, che deve essere breve».
Lidea potrebbe aver la faccia di un commissariamento: linteressato nega. Serve un appello alla politica? «Zero». Piuttosto una speranza. «Mi auguro che questo spunto sia interpretato in maniera costruttiva». Volonteroso ed apprezzabile. Ma, suvvia, che mondo è questo calcio? Quello che oggi fa sciopero per colpa di dirigenti disastrosi, giocatori furbetti e tanti servitorelli dalla bocca larga, che Della Valle ha zittito con una battuta sola: «Questo contendere sullo sciopero è una banalità.
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