Il linguaggio di Berlusconi, quando parla dal palco di fronte al suo popolo, è simile a un petardo: non si capisce dove andrà a cadere, ma si sa perfettamente che esploderà. Chi ascolta, finisce per immedesimarsi nell’oratore, perché è come se partecipasse a un rito di cui egli stesso, con la sua presenza, è una parte decisiva. Questo coinvolgimento elimina la barriera tra la parola e il suo ascolto. È il segreto dei grandi oratori, consapevoli che la loro efficacia dipende dal grado di coinvolgimento del proprio uditorio. Un segreto di pulcinella, ma questo non significa affatto che, svelato l’arcano, si diventi automaticamente abili comunicatori.
In situazioni diverse, per esempio quando si parla in pubblico, in televisione, si tiene una conferenza o una lezione in classe, oppure, più semplicemente, quando si dialoga a quattr’occhi con una persona, il principio semplice ed essenziale per essere efficaci nel proprio discorso è quello di non deludere l’attesa dell’ascoltatore. Sì può, allora, contare sul magnetismo della voce, sulla qualità degli argomenti, sull’aggressività o sulla dolcezza dell’eloquio: importante è non perdere mai il contatto con l’interlocutore. E in questo, Berlusconi è un maestro.
Si prenda in considerazione il discorso di piazza San Giovanni. Il messaggio ha un tipico sviluppo inconfondibile e molto amato dal leader: descrizione del fatto, denuncia del fatto, apoteosi conclusiva sul bene rappresentato dalla propria parte politica. L’argomentazione forma come un anello che si allaccia a quello successivo, il quale è composto da un nuovo tema trattato con la stessa tripartizione. Alla fine, il discorso non solo illustra la posizione del leader in merito, per esempio, alla truffa delle liste elettorali, alle intercettazioni, all’accanimento della magistratura eccetera, ma anche esalta chi resiste alle prevaricazioni per affermare la libertà, la giustizia vera, il governo che fa e non chiacchiera. Da un lato il bene e dall’altro il male, da una parte il positivo e dall’altra il negativo.
Poi c’è - con misurata sapienza oratoria di Berlusconi - il «taglio» di questa catena che intreccia i singoli anelli dell’argomentazione. È noto (anche questo dovrebbe essere a conoscenza di chi parla in pubblico) che, dopo 15-20 minuti al massimo, l’attenzione tende a cadere come una parabola che lentamente declina. Il problema è come farla risalire. Gli espedienti di Berlusconi sono tanto conosciuti quanto dagli snob disprezzati: ecco l’aneddoto, la battuta di spirito, l’invettiva caustica e improvvisa che scompaginano l’attesa a cui si era abituato l’uditorio. L’ascoltatore si incuriosisce e rinnova la sua attenzione.
A San Giovanni, Berlusconi usa questo «taglio» dell’argomentazione rivolgendosi direttamente al pubblico, interpellandolo, chiedendo a gran voce una risposta alle sue domande. Un espediente retorico molto difficile da utilizzare, perché se gli ascoltatori non sono stati sufficientemente coinvolti, il «taglio» finisce per essere un fiasco clamoroso.
Non c’è da stupirsi che Bersani abbia mosso due obiezioni fondamentali al Berlusconi di piazza San Giovanni: dice le stesse cose dal 1994; arringa la folla come un tribuno. Queste obiezioni sono il problema di un patetico Bersani, erede di una grande tradizione tribunizia, quella del Pci, il quale si dimostra totalmente privo di quegli strumenti oratori che erano patrimonio dei suoi predecessori: perfino di Veltroni, che sembrava aver raggiunto il grado zero del linguaggio pubblico. L’accento romagnolo di Bersani non gli dà molte chance oratorie, e così si accontenta di criticare il discorso di Berlusconi facendo dell’ironia: dovrebbe invece cercare di riascoltare come parlavano Di Vittorio, Togliatti, Longo. Berlusconi, purtroppo per Bersani, è bravo come loro e, in sintonia con i nostri tempi, si spoglia dell’auratica distanza tra il leader e la sua gente e, anche da un palco, sa dialogare con lei.
Bersani se la prende con Berlusconi perché dice le stesse cose dal 1994: è questa la grande forza del leader del Pdl che ormai ha radici in una storia e guarda al futuro. Il Pd ha radici di cui si vergogna, ma non sa sconfessare, ha grandi leader se guarda al passato e piccoli comprimari, che vanno e vengono senza lasciare traccia, se guarda al presente.
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