Rimini«Hai visto come ha preso fuoco, come si scaldava?». «È andata così, era un figlio di... Eravamo ubriachi, dovevamo vendicarci, avevamo trovato la tanica di vetro che faceva al caso nostro...». Si compiacevano così i quattro che hanno dato fuoco, tre mesi fa, al barbone Andrea Severi. Uno solo è ancora in carcere, Alessandro Bruschi, 20 anni, barista, considerato l'esecutore materiale, l'uomo che aveva gettato la benzina addosso al 44enne che viveva su una panchina sul lungomare di Rimini. Gli altri tre sono agli arresti domiciliari, in comunità, nella città romagnola: due alla Papa Giovanni di Rimini, uno alla Caritas. Enrico Giovanardi, 19 anni, è un perito chimico che stava facendo il tirocinio: lavora alla Caritas diocesana di Rimini nella struttura di Madonna della Scala come tuttofare, distribuendo anche i pasti. Fabio Volanti, 20 anni, studiava all'università, mentre Matteo Pagliarani, 19 anni, è elettricista: uno adesso segue un barbone affetto dal morbo di Parkinson, un altro una persona non autosufficiente. Nessun obbligo particolare, però tutti e tre devono dimostrare di essersi redenti. Si attendono le perizie per valutare il ruolo avuto da ciascuno nella vicenda del 10 novembre.
Le intercettazioni hanno inchiodato tutti e quattro. Dicevano: «Hai visto che fiammata? Hai visto che salto che ha fatto?». Nel primo interrogatorio avevano negato ogni responsabilità, poi si sono arresi all'evidenza, inchiodati dalle microspie ambientali. Nei mesi precedenti avevano bersagliato Severi con sassi e mortaretti, ma quella notte di tre mesi fa si sono fatti prendere la mano.
Tutti di buona famiglia, vivevano con i genitori, che naturalmente si sono battuti per farli scarcerare. Mentre il barbone si contorceva tra le fiamme, loro sono scappati via senza soccorrerlo. Nessuna compassione per quello sbandato, in un bar, non però quello dove lavorava Bruschi, qualcuno poi li aveva sentiti parlare di una specie di piano per colpire un senzatetto.
Il procuratore di Rimini Franco Battaglino, con il sostituto Davide Ercolani, insisterà per l'accusa di tentato omicidio, e non semplicemente di lesioni volontarie, perché non era solo una bravata. I tre hanno incolpato il barista Bruschi: «Abbiamo tentato di fermarlo, ma quando si mette in testa di fare una cosa la fa. Non siamo neppure usciti dall'auto. Uno di noi non ha nemmeno guardato».
All'inizio il magistrato parlava del pericolo di reiterazione del reato, di pericolo dell'inquinamento delle prove, della mancanza di ravvedimento, adesso i tre hanno cominciato il cammino per tentare di uscire senza condanna da una vicenda gravissima.
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