Ecco la storia delle carte segrete del Duce

Il figlio dell’ex console Guglielmo Della Morte racconta chi era davvero suo padre, i suoi rapporti con il Regime e di come gli fu affidata la famosa borsa: «Forse dentro non c’è nulla, forse qualcosa che cambierà la Storia...»

Ecco la storia delle carte segrete del Duce

Fiumicello (Udine) - «Chissà perché qui in paese hanno preso a chiamarmi Giacomino, è insopportabile questa cosa. Io mi chiamo Rocco. Lo scriva, una volta per tutte. Rocco Della Morte. Non si può fare gli spiritosi. Noi in famiglia, come si usa nelle famiglie giuste, ci chiamiamo solo Rocco o Guglielmo, Guglielmo e Rocco da generazioni».

E così Rocco Della Morte, finalmente con un nome e un cognome a denominazione di origine controllata, rotti gli indugi della diffidenza, mi apre le porte di casa sua, al numero 13 di via Zorutti in quel di Fiumicello, paesotto di mille abitanti sulla strada che mena a Trieste. Noventacentonovantanove anime rosse, più la sua. Che propria rossa non è.

Oddio, a dire il vero, Rocco Della Morte mi apre molto di più che casa sua, mi apre le porte del suo regno. Che sono i due enormi box dove lui, tra un cartello «Boia chi molla», una foto del Duce, una coppa, un attestato con la firma autentica di Hitler e una straordinaria collezione di moto d’epoca, praticamente vive.

Carburatori, pezzi di ricambio e attrezzi, che nemmeno un meccanico professionista si sogna. Duce e motori, insomma. A proposito.
«I diari del Duce? Io non lo so se sono dentro quella cassa misteriosa. Magari ci son dentro solo delle monate che non cambieranno la storia. Non so nemmeno se quelli che sono usciti in questi anni sono autentici o no. E non so neanche se il Duce avesse un tesoro, certo che la storia ci ha fatto vedere che è morto senza una lira in tasca».

E comincia a sfogliare un album di ricordi, scritti e fotografie. Foto di suo padre Guglielmo con Goebbels, con Hitler e ovviamente con il Duce. Decorazioni medaglie. «Vuole che le racconti di mio padre? Una persona straordinaria, un galantuomo che ha aiutato tanti nostri connazionali quando era in Germania. Quando, d’estate, vivevamo con mia sorella e mia madre, la nobildonna Brigitte von Plotho, nella villa di Campodolcino, era amato da tutti. Vada a vedere nella chiesa parrocchiale di Campodolcino, c’è ancora il ritratto di San Biagio che mio nonno, a sua volta grande uomo di chiesa e benefattore, volle donare al paese. Ed è stato San Biagio a salvare mio padre Guglielmo da quel vile attentato di due partigiani mascherati da fascisti. Gli spararono alla testa e alla gola, tranciandogli anche una corda vocale. Ma lui, fortunatamente, si riprese. Riprese anche l’uso della parola. Un miracolo, un vero miracolo, ecco perché tutti in famiglia siamo devoti a San Biagio che della gola è il protettore».
Settantataquattro anni che sembrano almeno dieci di meno, Rocco Della Morte, fisicamente parlando, ricorda molto anche il “suo” Benito. È molto più alto certo, ma ha la compiacenza di non farlo pesare troppo soprattutto quando scoppia in una fragorosa risata mostrandomi la maglietta sulla quale ha fatto scrivere il suo personalissimo motto: «Contro Giuda, contro Fini, solo e sempre Mussolini». Alziamo assieme i calici, colmi di the freddo, nei box, dove si respira aria di gloria motorizzata per il passato straordinario di corridore enduro di Rocco, e i più recenti trionfi, 150 vittorie, di suo figlio Guglielmino, che oggi a 44 anni. Ma, tra un colpo di gas e una controllatina ai freni, gira e rigira si torna sempre lì: alla sensazionale rivelazione che lui, Rocco Della Morte, ha voluto fare avant’ieri, ai diari vero o presunti del Duce, alla cassetta chiusa con il lucchetto, sul quale sono incise le iniziali B.M. «Vede io non so che cosa ci sia esattamente in quella cassetta di zinco. O meglio io non so che cosa ci sia esattamente in quella borsa di cuoio che il Duce consegnò a mio padre, suo uomo di fiducia ex console del Fascismo a Kassel, Breslaw, Moulhouse, Saarbrucken e quindi a Berlino. So solo che, prima di lasciare Milano, per raggiunger la Svizzera, il Duce lo convocò e gli affidò l’incarico di custodire quella borsa. Ordinandogli di farla aprire solo nel 2025. Lei vuol sapere come andò e io glielo dico esattamente. Era il giorno nel mio diciottesimo compleanno quando mio padre, che parlava poco con me di politica e dei suoi rapporti con Benito Mussolini, mi prese da parte. Eravamo a Milano, nella casa di viale Monza, dove mio padre, storico antiquario con il negozio di fronte a Santa Maria delle Grazie, ha vissuto con me e mia sorella fino alla sua morte nel 1961. Descrivendomi la borsa di cuoio, mi disse che il Cavalier Benito gliela aveva affidata dicendogli che conteneva alcuni documenti e una somma in denaro destinata a persone indicate proprio in quei documenti. Visto che il nostro motto, il motto che mio padre mi ha tramandato è: “Onore e fedeltà”, che poi era il motto delle SS è superfluo dirle che mio padre quella borsa non l’aprì mai. Anzi, dopo i fatti di piazzale Loreto, fece costruire la cassetta di zinco perché nulla all’interno della borsa si deteriorasse con il passare degli anni e la portò in Valle Spluga». La butto lì, non sarà mica sepolta sotto la villa di Campodolcino? «Purtroppo la villa di Campodolcino che nella divisione dei beni era toccata a mia sorella è stata venduta, quindi la cassetta con la borsa del Duce non è lì, comunque mio padre non l’avrebbe mai sepolta lì. Però le posso dire che la Valle Spluga è lunga 32 chilometri, quindi se volete cominciare a scavare, auguri».

Altra fragorosa risata: «Diciamo la verità, il 2025 è vicino ma anche lontano è siccome a me piace correre in moto, non so se nel 2025 sarò ancora in questo mondo o in Purgatorio, così quando mio figlio ha compiuto 18 anni anch’io ho fatto come mio padre, l’ho chiamato, gli ho detto dove abbiamo nascosto la borsa del Duce e gli ho passato le consegne che Mussolini diede a suo nonno Guglielmo. Ho messo al corrente della cosa anche altre tre persone fidate. Una ovviamente è un notaio che aprirà la busta con tutte le indicazioni per recuperare il segreto di Mussolini. Adesso non mi chieda ancora che cosa il Duce mise in quella borsa di cuoio.

Non lo so, non riesco neanche a immaginarlo, ci sono soldi questo è certo ma i documenti, glielo ho detto, magari sono solo monate di nessuna importanza. Basta, le ho già detto troppo, adesso vada e si ricordi il motto». “Onore e fedeltà”? «Macchè, contro Giuda e contro Fini solo e sempre Mussolini».

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