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«Ecco la strada per tutelare le imprese e i lavoratori»

La proposta di Baldassarri, viceministro dell’Economia: «La soluzione è la cessione del credito e conviene anche alle banche»

Antonio Signorini

da Roma

L’idea della cessione del credito conviene a tutti: ai lavoratori, alle imprese a anche alle banche, tanto che alcuni istituti di credito, italiani ed esteri, hanno già mostrato interesse. Nel giorno del primo incontro tra governo e parti sociali il viceministro dell’Economia Mario Baldassarri rilancia la sua idea per l’avvio dei fondi pensione attraverso la riforma del Tfr. I lavoratori, secondo Baldassarri, dovrebbero cedere il loro credito a un fondo pensione che lo affiderebbe a sua volta ad una società di gestione del risparmio. Le imprese non dovrebbero così rinunciare alle quote di Tfr che rappresentano un’importantissima forma di finanziamento.
È un’idea nuova?
«Il dibattito sulla previdenza integrativa è iniziato dieci anni fa. Tutti si sono da subito orientati sull’utilizzo del Trattamento di fine rapporto e le soluzioni praticabili sono state subito due: o togliere alle imprese i flussi futuri del Tfr oppure fare la cessione del credito senza togliere alle imprese né lo stock (cioè le quote di Tfr già accumulate, ndr) né i flussi. Per ora è prevalsa l’ipotesi di togliere alle aziende i flussi futuri a favore dei fondi che li investono tramite società di gestione del risparmio».
E lei non condivide questa soluzione. Perché?
«Si priverebbero le imprese di 13 miliardi all’anno, una quota importante che non può essere compensata nel breve termine dal denaro che tornerebbe nel mercato finanziario tramite i fondi. Per avere una massa utile bisognerebbe aspettare cinque o sei anni. Il secondo problema è più serio: se si toglie il flusso alle imprese si apre il problema delle compensazioni che rischia di costare molto allo Stato. Terzo problema è che questo meccanismo non è applicabile al pubblico impiego. Lo Stato non accantona il Tfr dei suoi dipendenti».
E se lo Stato dovesse versarlo quanto spenderebbe?
«La spesa per gli stipendi crescerebbe del 7,37 per cento, che è la quota destinata al Tfr. Visto che gli stipendi ammontano a 240 miliardi di euro, sarebbero 16-17 miliardi di euro di spesa pubblica ogni anno. Poi sarebbe una discriminazione verso i pubblici dipendenti, si aprirebbe un problema di costituzionalità».
La sua idea supererebbe questi tre ostacoli?
«Sì. Verrebbe meno la necessità di compensare le imprese perché il Tfr rimarrebbe alle aziende. E si lascerebbe al lavoratore la certezza dell’attuale Tfr oltre a dargli l’opportunità di costruirsi un suo fondo pensione. Si risolverebbe anche il problema degli statali perché lo Stato non dovrebbe tirare fuori subito i soldi del Tfr».
Le banche che accettano di acquistare il credito si accollano un rischio. I costi su chi ricadrebbero?
«Qui entriamo nel merito. L’unico nodo tecnico, il possibile ostacolo potrebbe essere proprio una richiesta eccessiva da parte delle banche. Gli istituti di credito potrebbero essere tentati dal guadagnare solo con il tasso di sconto, potrebbe prevalere un atteggiamento da usuraio e potrebbero ignorare questa grande opportunità».
E secondo lei alla fine coglieranno questa opportunità?
«Io ho già parlato con diversi gruppi bancari italiani e no, tutti pronti a discutere in un tavolo tecnico».
Chi garantirebbe i lavoratori in caso di cattiva performance del fondo pensione?
«È ovvio che dobbiamo prevedere un grado di garanzia interna e cioè il fondo dei fondi: ogni anno si accantona una quota che serve a compensare chi disgraziatamente dovesse andare in pensione in un momento in cui i mercati vanno male. Il Tesoro può essere solo una garanzia di ultima istanza».


E i vantaggi per le aziende?
«Non verrebbe toccato il Tfr né adesso né mai; continuerebbero a contare su questo finanziamento a tasso contenuto».
Se è così, chi si potrebbe opporre a questa soluzione?
«Chi non la capisce. Oppure chi ha capito, ma ha di mira interessi particolari».

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