In questi giorni sulla disoccupazione si è letto davvero di tutto e i toni erano da disastro epocale. Domande di disoccupazione in salita vertiginosa, occupazione ai minimi storici, cassa integrazione in aumento del 600%. Insomma, una rovina. Dato che le trombe del partito del «tanto peggio tanto meglio» sono sempre efficienti cerchiamo di capire meglio con qualche dato facilmente leggibile e non manipolato a bella posta per ingannare i lettori come stanno andando veramente le cose.
Premettiamo come al solito che, come avviene in ogni recessione, è vero che molti posti di lavoro si sono persi e il dramma di chi si trova disoccupato va curato come si deve stroncare una malattia grave, purtroppo però le statistiche spersonalizzano, non deve quindi sentirsi offeso chi si trova in difficoltà se si analizza il fenomeno nel suo complesso e non nel particolare.
Partiamo dalla confusione che viene fatta, spesso volontariamente, con i termini. La solita Repubblica settimana scorsa titolava: «Istat, disoccupazione al 7,4%, occupati mai così giù da 15 anni». Ebbene, in questa frase cè un trucco subdolo perché si mischiano due dati diversi mettendoli ingannevolmente in relazione. Una cosa è la «disoccupazione», vale a dire chi cerca lavoro e non lo trova, e quel tasso del 7,4%, sebbene in aumento a causa della crisi mondiale, è pur sempre uno dei dati storicamente migliori in assoluto e nettamente inferiore al valore medio europeo, pari al 9,6%. Prima del 2000 tale valore era costantemente in doppia cifra e fino al 2005 si era mantenuto sopra il dato di oggi.
Altra cosa è l«occupazione», vale a dire la percentuale di popolazione al lavoro. In Italia abbiamo storicamente un basso tasso di occupazione per vari motivi socioculturali: i ragazzi per esempio entrano tardi nel mondo del lavoro (basti pensare che le statistiche europee per determinare loccupazione includono i giovani a partire dai 15 anni), le madri stanno spesso a casa ad accudire i figli (la percentuale di casalinghe è molto alta) e si va in pensione presto rispetto alla media europea. Non necessariamente si tratta di un fenomeno positivo, tuttavia è strutturale e non certo derivato dalla crisi, anzi, il fatto che ci sia stata una «diminuzione delloccupazione» indica come in molti casi la famiglia italiana sia entrata in azione come vero e proprio ammortizzatore sociale, consentendo a molti che hanno perso il lavoro di poter attendere tempi migliori senza necessità di dover ricercare attivamente un impiego, cosa che avrebbe invece impattato il tasso di disoccupazione. In Spagna ad esempio, in concomitanza con lesplosione della disoccupazione, che punta ormai al 20%, si è avuto un certo aumento del dato relativo agli occupati, ma gli spagnoli ben si guardano dal considerarlo una cosa positiva, il fenomeno viene infatti letto come un segnale di disperazione, che porta i capifamiglia a spingere verso il lavoro anche le madri e i giovani pur di riuscire a tirare avanti.
Anche il +50% delle richieste di assegno di disoccupazione deve essere preso con le molle: in situazioni di recessione è un dato purtroppo normale. Si tratta infatti di una misura temporanea accordata a chi era occupato, in regola con i contributi e ha perso il lavoro, quindi la platea è ristretta rispetto al numero generale dei disoccupati e un numero piccolo si incrementa in fretta. Va anche considerato che la richiesta di assegno rimane nelle statistiche anche se chi ha fatto domanda trova un nuovo impiego subito dopo. Anche parlare di +600% di ore di Cassa Integrazione è fuorviante senza dire quali erano i numeri e le condizioni di partenza: in pochi in compenso hanno fatto notare come il numero di ore finanziate ed apprestate come «rete di emergenza» fosse stato quattro volte maggiore di quelle realmente utilizzate.
Silenzio di tomba in compenso sul dato che forse meglio di ogni altro fotografa la differente «tenuta» del lavoro nei paesi europei di fronte alla crisi: lo ha rilasciato Eurostat il 14 settembre nel disinteresse dei media di casa nostra ed è molto semplicemente il tasso di calo dei posti di lavoro, che fotografa la situazione recessiva da un anno con laltro in Europa: degli stati principali chiude la classifica la già ricordata Spagna con -7,1 (lIrlanda sarà peggio ma il dato definitivo manca), poi a seguire tutti gli altri con il -3 della Finlandia, il -2,7 del Portogallo, il -2,2 della Svezia, il -2 della Gran Bretagna, Francia e Austria si difendono bene entrambi con -1,1 ma in vetta alla classifica troviamo Italia e Germania rispettivamente con -0,9 e -0,1.
Ovviamente tutto ciò non devessere una scusa per allentare la guardia: il nostro sistema rigido da una parte ci tutela in caduta ma potrebbe frenarci in ripresa, visto però che non capita spesso di trovarci in cima alle classifiche di virtuosità europee, penso appaia molto chiaro quale è latteggiamento dellinformazione italiana sul peso da dare alle buone notizie rispetto a quelle cattive che con un po di sforzo si possono dipingere da pessime, con illusoria soddisfazione dei soliti avvoltoi.
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