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Ecco tutti quei compagni in toga di Ingroia che continuano a fare politica (contro il Cav)

Il pm Antonio Ingroia domenica scorsa al congresso dei Comunisti italiani si è vantato di essere un partigiano. Ospiti della piazza, amici dei giustizialisti e fedeli all'idea del pm dinamico, che fu teorizzato dagli eroi di Mani pulite: ecco i compagni in toga

Ecco tutti quei compagni in toga di Ingroia  che continuano a fare politica (contro il Cav)

Il re è nudo, esclamò il bambino della fiaba di Andersen, e lo ripetono oggi gli italiani dopo che il pm Antonio Ingroia ha rivelato a un’assemblea di partito - quello comunista di Diliberto - di non essere imparziale. Con la marcia indietro di ieri non arretra di nulla: «Il magistrato applicando la legge la interpreta ed è mosso da valori costituzionali che non lo rendono del tutto neutrale». Quindi, appreso che il procuratore aggiunto di Palermo non è imparziale, ora sappiamo che non è nemmeno neutrale.
Disobbedire alle leggi? Applicarle tirandole dalla propria parte? Gettando la maschera, Ingroia si è insediato come capofila della schiera dei magistrati politicizzati. Che non sono quelli che hanno abbandonato la toga per sedersi in Parlamento: ce n’è di destra e di sinistra, dal ministro Nitto Palma a Gerardo D’Ambrosio fino a Di Pietro, Anna Finocchiaro, Felice Casson e Gianrico Carofiglio. No: Ingroia e i suoi fratelli continuano ad amministrare la giustizia rivendicando il diritto alle scelte di parte.
Partecipano a manifestazioni politiche, per esempio. Ingroia aveva già aderito a iniziative pubbliche contro Berlusconi e, con il collega palermitano Roberto Scarpinato, si è presentato all’assemblea di fondazione del Fatto quotidiano, tenendo a battesimo la neonata gazzetta delle toghe - soprattutto rosse. Oppure invitano apertamente a disattendere il dettato legislativo. Come fece il magistrato napoletano Nicola Quatrano, presidente di un collegio del Riesame: prendendo la parola a un’assemblea della Cgil, disse che l’unico modo per opporsi alla nuova legge sull’immigrazione (che prevedeva il reato di clandestinità) era la disobbedienza civile.
È lo stesso partigiano Quatrano che nel 2001 (era gip del tribunale partenopeo) partecipò alla manifestazione dei no-global contro il G8 e in seguito si giustificò dicendo che passava di lì per caso. L’allora guardasigilli Castelli promosse un’azione disciplinare contro di lui nel 2003. L’ispezione coinvolse anche una collega di Quatrano, Isabella Iaselli, ritenuta pure lei vicina alle posizioni dei movimenti antagonisti: fu il gip Iaselli a disporre i provvedimenti cautelari per i poliziotti accusati di presunte violenze verso gli anarchici chiusi nella caserma Raniero.
I fatti di Genova avevano sollevato il velo anche sulle convinzioni di Libero Mancuso, il pm che aveva indagato sulla strage alla stazione di Bologna e in seguito sarebbe diventato assessore nella giunta Cofferati e candidato vendoliano alle primarie della sinistra per il sindaco di Napoli. «È più difficile indagare su Genova che sulla strage di Bologna - disse l’imparziale magistrato -. Ogni volta che pezzi dello Stato debbono rispondere di episodi così rilevanti penalmente, scattano protezioni e coperture».
Al Forum no-global di Porto Alegre aveva partecipato il giudice Nicoletta Gandus, che avrebbe condannato Silvio Berlusconi in primo grado nel processo Mills. Ha firmato numerosi appelli, assieme ad altri aderenti a Magistratura democratica, contro varie leggi approvate tra il 2001 e il 2006 chiedendone la cancellazione perché hanno «devastato il nostro sistema giustizia». La depenalizzazione del falso in bilancio sarebbe figlia di una «cultura dell’illegalità», mentre quella della legittima difesa è una «riforma barbara» e la legge Pecorella sull’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento «altera un principio costituzionale».
D’altra parte, nella sentenza che nega la ricusazione del giudice Gandus chiesta da Berlusconi proprio per la partigianeria del magistrato, la quinta sezione penale della Corte d’appello di Milano riconosce che Gandus aveva pesantemente criticato in pubblico e «senza mezzi termini» le scelte del governo, ma «dall’inizio del processo non ha più dichiarato alcunché» e quindi - secondo i colleghi giudici - ella avrebbe accantonato «l’asserita avversione ideologica od anche “l’astio” verso un soggetto politico probabilmente a lei inviso».
Ma in tema di mancata neutralità togata non bisogna dimenticare un fatto di oltre vent’anni fa, quando il Cavaliere non era ancora sceso in politica. Un documento del 12 marzo 1988 che raccoglie gli scritti della sezione milanese di Magistratura democratica (tra le firme compaiono quelle della Gandus, di Gherardo Colombo e dei futuri membri del pool Mani pulite) teorizza la nascita del «pm dinamico» che si deve occupare meno di micro-criminalità, devianze sociali e malavita urbana per dedicarsi invece alla «contrapposizione con altri poteri, palesi e occulti, dello Stato e della società». Cioè colletti bianchi e politici. Con tanti saluti all’obbligatorietà dell’azione penale.

E un caldo benvenuto al pm partigiano.

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