Il numero di settembre dura 88 minuti. Ma, in realtà, è molto di più: il riassunto di quasi un anno di riprese in una delle redazioni più chiacchierate e mitizzate al mondo, quella di Vogue Usa. Cioè un anno con le telecamere al seguito del Diavolo veste Prada, la direttrice Anna Wintour. E il documentario, girato da RJ Cutler e intitolato, appunto, The September Issue (l'edizione più voluminosa e più ricca di pubblicità di tutto l'anno) svela molto di più di quanto il film con Maryl Streep e la fantasia di Hollywood abbiano fatto: anzi, pare che, a confronto, il diavolo sia un angioletto. Il film di Cutler è stato presentato al Festival di Edimburgo e Bryony Gordon, giornalista del Telegraph, assicura che il contenuto sia molto, molto meglio dell'immaginazione. Del resto stupisce già il fatto che l'algida Wintour abbia concesso alle telecamere di riprendere il suo lavoro e quello della sua redazione per tanto tempo: ma RJ Cutler, che nel '93 ha girato The War Room, storia della campagna elettorale e della vittoria di Bill Clinton alle presidenziali, sembra abituato a osare. E infatti a chi gli ha chiesto: ma come hai fatto a convincerla? Lui ha risposto: «Vi sconvolgerà saperlo. Ma gliel'ho semplicemente chiesto». Poi, massima segretezza fino all'uscita del documentario.
Il risultato è che Anna Wintour sembra sconfiggere la sua leggenda: non è solo la regina del suo giornale, ma della moda intera. A un certo punto strapazza il designer di un celebre marchio francese e lo convince a ripensare la collezione; incontra una famosa stilista italiana e le suggerisce alcune modifiche. Il tutto senza battere ciglio, dietro gli occhialoni scuri che sono il suo marchio di fabbrica insieme al caschetto impeccabile e al tailleur Chanel. Anna Wintour non tradisce la sua fama: butta via delle foto costate 50mila dollari perché non le piacciono; non si accontenta di Testino, non le basta neppure Sienna Miller, perfino lei con troppi difetti, agli occhi della signora della moda. Il suo regno è così assoluto che i suoi assistenti già sanno la risposta, già sanno che cosa rischiano se si azzardano a sbagliare. «È come appartenere a una chiesa» spiega la direttrice del sito web di Vogue. «E Anna è come il suo Papa». Altro che diavolo.
Lascia perfino trasparire il suo lato umano: se lo può permettere, fra un silenzio e l'altro. Wintour non apre bocca molto spesso, d'altronde, in una delle rare occasioni, confessa di aver sempre ammirato tanto il padre (ex direttore dell'Evening Standard di Londra) perché era un uomo «imperscrutabile». Ma a un certo punto Wintour confessa che in famiglia fratelli e sorelle hanno tutti impieghi molto seri (uno è editorialista politico del Guardian): «Sono molto divertiti da quello che faccio».
Insomma come tanti perfino lei sembra soffrire perché non si sente abbastanza accettata, lei che accetta pochissimo, nella vita, sopporta ancora meno, ma ha comunque lasciato a Cutler la libertà di girare e montare il suo documentario. Si è un po' lamentata, ma poi si è detta: «Coraggio, è il suo film». E Cutler orgoglioso. Anzi, ha raccontato che non si è spaventato neppure un attimo, né con la Wintour, né con l'ex presidente Clinton. È riuscito perfino a strappare alla direttrice una dichiarazione di quasi affetto per Grace Coddington, la numero due, la giornalista che ha esordito insieme alla Wintour ed è l'unica - pare - che riesca a tenerle testa: alla fine del documentario ammette che senza la rossa Coddington, in fondo, non potrebbe vivere. Ma la vera rivincita è arrivata dall'incontro con Bee, la figlia della Wintour: nonostante le insistenze della mamma, la ragazza è decisa a iscriversi a Legge.
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