Valentino ha vinto. Finalmente. E dovremmo essere tutti motodemocraticamente felici. Ma così non sarà. Perché lItalia popolo dallenatori, questa nazione autoproclamatasi patria dei veri esperti di sport, è unItalia che non perdona. Il Valentino che ha vinto dopo oltre sette mesi di astinenza da podio, che ha conquistato la vittoria numero 89 in carriera - secondo solo a re Giacomo Agostini -, che resta e rimane, dopo la Ferrari, lunico nostro simbolo sportivo conosciuto in tutto il mondo, è un Valentino che se ritorna al successo, in fondo, a molti dà quasi fastidio.
Trattasi di quei molti che stavano già narrando del lento declino del campione circondato da giovani irriverenti, quei molti che dovranno rivedere il concetto per un altro po, quei molti che, giustamente indignati per la vicenda fiscale, hanno ingiustamente dimenticato le emozioni che il campione aveva saputo regalare allorgoglio nazionalpopolare. Sembra incredibile, ma in questi mesi - ci sono le lettere a dimostrarlo - Valentino ha dato persino fastidio per via della laurea honoris causa in Comunicazione conferitagli dallUniversità di Urbino. «Perché non è un vero dottore, perché non ha studiato sui banchi, perché è una vergogna nei confronti dei veri studenti e laureati» hanno scritto alcuni. Come se i messaggi vittoriosi del ragazzo sulle piste di tutto il mondo non contassero nulla e non avessero comunicato un bel niente.
Valentino ha vinto e con la semplicità del primo Rossi, quello non dottore ma solo folletto talentuoso e irriverente, ha subito detto «grazie a tutti coloro che mi sono stati vicini in questo periodo difficile». Poi, sul podio, si è asciugato gli occhi lucidi, ha tirato un sospiro di sollievo e ha sorriso. Era la gioia di trovarsi fuori dal tunnel; era la soddisfazione di aver finalmente zittito quei molti dai facili verdetti.
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