In 10 anni spariti crediti bancari per 40 miliardi. Boom dei bond societari

La sintesi, in verità un po' brutale, è questa: in Italia non conviene fare impresa. Meglio comprare Bot o Btp: rendono di più ed evitano probabili problemi di fegato, a patto di escludere l'ipotesi di una bancarotta sovrana del Belpaese. La conferma arriva dall'ultima analisi di Mediobanca sui «Dati cumulativi di 2035 società italiane», un campione sufficiente rappresentativo dei problemi, amplificati dalla crisi, dell'industria nazionale.
A conti fatti, in termini di rendimento del capitale investito (Roi), manifattura e titoli di Stato si eguagliano, con un Roe medio del 3,6%. Ma le medie, come insegna Trilussa, sono spesso ingannevoli come uno specchio deformato. Il dato aggregato nasconde, infatti, realtà profondamente diverse. Sotto il profilo del Roi, le big tricolori (aziende con oltre 500 addetti) non sono neppure in grado di tenere i conti in pari (-0,6%). La stagnazione di fatturato e investimenti e la perdita di competitività, fenomeni spesso accompagnati da un aumento dei debiti, sono all'origine del prosciugamento della redditività. La grande impresa finisce insomma per pagare la propria natura sotto forma di una minore reattività nel rispondere ai cambiamenti in atto. La prova?
Fino al 2009 le vendite e i margini si muovevano in maniera concordante. Ora non più. Il cambiamento del contesto internazionale ha aumentato la competitività e portato quindi a una maggiore pressione sui prezzi di vendita, oltre al fatto che una parte dei margini si realizza fuori dai confini nazionali. Senza dimenticare l'elevata pressione fiscale (vedi tabella).
Ben diverso è lo spaccato offerto dalle imprese del made in Italy, che strappano un rendimento del 7,1%, e dalla media impresa (5,6%), grazie anche a un'incidenza dell'Irap sul reddito pre-tax dell'1% contro il 6% dei gruppi maggiori. Ma è comunque il segno che i margini tengono laddove la competizione non è sul prezzo, come avviene nelle produzioni di massa. Secondo Mediobanca, le medie imprese hanno inoltre realizzato tra il 2003 e il 2012 un valore aggiunto superiore del 14% alla manifattura, del 20% a quello delle grandi industrie manifatturiere.
Resta poi il problema legato all'approvvigionamento di credito. Il rapporto non nasconde i nodi del credit crunch. In dieci anni sono «spariti» circa 40 miliardi di euro di prestiti delle banche al mondo produttivo. In termini assoluti le erogazioni degli istituti sono sì aumentate di 11,1 miliardi in questo periodo, ma per mantenere lo stesso peso sul debito finanziario complessivo avrebbero dovuto crescere sulla carta di oltre 50 miliardi di euro.


In ogni caso, la struttura del debito ha subìto una profonda trasformazione dal 2003 a oggi: il credito bancario ha visto cadere la propria rilevanza dal 48,4% al 33% della provvista finanziaria complessiva, mentre è cresciuto dal 12 al 23% il peso delle obbligazioni corporate, rese appetibili dal calo dei rendimenti dei bond sovrani.

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