Il sogno della job recovery Usa, la sfolgorante ripresa economica accompagnata dalla (quasi) piena occupazione, rischia di schiantarsi, al punto da costringere la Federal Reserve a rivedere i propri propositi di rialzo dei tassi. La scarsa creazione di nuovi posti di lavoro in marzo, appena 126mila, è stato solo l'ultimo campanello d'allarme dopo che per mesi in molti hanno ignorato, o finto di ignorare, la strettissima correlazione esistente fra la crescita robusta del Pil (attribuita esclusivamente alle politiche di quantitative easing della Fed) e lo sviluppo dello shale oil.
L'estrazione di petrolio dalla roccia è stato un volano formidabile per l'economia americana. Almeno fino a quando i prezzi del greggio sono rimasti attestati attorno ai 100-110 dollari il barile, quotazioni che garantivano forti margini di guadagno. Erano i tempi in cui si favoleggiava non solo sulla raggiunta indipendenza energetica a stelle e strisce, ma addirittura sulla possibilità di esportare nel mondo parte della produzione. La storia, però, ha preso ben altra piega. A novembre l'Opec ha deciso di non tagliare la produzione nonostante l'eccesso di offerta sul mercato. Il mantenimento dello status quo ha provocato l'avvitamento dei prezzi, crollati sotto i 50 dollari agli inizi di marzo, e messo così in ginocchio tanto un Paese come la Russia, che sugli introiti dall'ex oro nero basa la metà del proprio budget nazionale, quanto gli stessi artefici del fracking statunitense. Non a caso molti analisti hanno attribuito la scelta del Cartello di non ritoccare i livelli di output con l'intento di estromettere dal gioco i player americani. E ieri anche l'Iran ha ribadito che, se termineranno le sanzioni,è pronto ad aumentare le esportazioni di greggio di un milione di barili al giorno «nel giro di pochi mesi», facendole tornare ai livelli del 2008.
Estrarre petrolio dalla roccia costa infatti caro, almeno 73 dollari al barile, ai quali vanno sommati 12 dollari per i costi di trasporto. Inoltre, dopo un anno di sfruttamento il terreno è quasi esausto. È evidente che, con gli attuali livelli di prezzo, continuare a estrarre greggio dalla roccia equivale a un suicidio economico. Negli Usa da mesi, infatti, molte trivelle hanno smesso di funzionare, e l'intero settore è in preda a una sorta di paralisi. Le ricadute non possono essere indolori, dal momento che il comparto era arrivato ad avere un organico complessivo di 250mila dipendenti e - soprattutto - aveva dato vita a un indotto di 10 milioni di persone. Non è azzardato sostenere che gran parte del recupero di forza lavoro, visto negli ultimi anni in America, sia stato determinato dalla straordinaria finestra di opportunità offerta dallo shale oil. Tanto che depurati dal contributo dell'occupazione creata in Texas, lo Stato petrolifero per eccellenza, i posti di lavoro sarebbero ancora inferiori di oltre 275mila unità rispetto ai livelli precedenti la crisi dei virus subprime. Secondo altre stime, dei poco più di 10 milioni di posti creati dopo la recessione, ben 9,3 milioni sono da attribuire al comparto oil&gas. E quest'anno in Texas sono stati tagliati 47mila posti, a conferma della crisi in cui versa lo shale oil.
Ciò pone un altro problema. Molto grave: il forte sviluppo del comparto e le prospettive di ulteriore crescita, avevano convinto le banche ad allargare i cordoni della borsa. Quindi, complice la politica di tassi a zero della Fed, prestiti a pioggia. Concessi a tutti. Anche a micro-aziende con non più di 20 dipendenti (ben il 90% del totale) e senza nessun interesse a ottimizzare la propria attività, in una corsa all'oro (nero) che ha contribuito a gonfiare la bolla.
La conseguenza più elementare dello sboom è l'allungamento della catena di imprese destinate a saltare, accompagnata dal mancato pagamento dei debiti e dalla crisi delle obbligazioni spazzatura ad alto rendimento emesse dalle medie imprese dello shale oil per finanziarsi.
Stiamo parlando di una montagna di quattrini: quasi 200 miliardi di dollari, roba da far impallidire la crisi dei subprime. Dinamite pura che la Fed dovrà, forzatamente, maneggiare con estrema prudenza per evitare di far saltare l'intera economia Usa. Ancora una volta, il rialzo dei tassi può attendere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.