Il governo Renzi sta per spendere 648 milioni, tramite la legge Finanziaria, per pre-pensionare fino ad altri 8-10mila bancari dal 2017 al 2022 tramite il Fondo esuberi, ma la bomba del credito non è affatto disinnescata. Non solo perché l'ulteriore dotazione del Fondo, che dispone ora di 100 milioni circa, potrebbe essere assorbita per quasi la metà dal solo Monte dei Paschi, ma perché si stima che il settore abbia 2-3 mila addetti che rischiano il posto senza avere i requisiti per accedere all'ammortizzatore sociale. In pratica degli «esodati».
Partiamo da Mps, ieri ancora in caduta libera in Piazza Affari (-7,3% a 25 centesimi) in vista dell'assemblea del 24 novembre per il decisivo maxi-aumento di capitale: da quanto trapela, Corrado Passera non è disposto ad aspettare oltre questa settimana per ottenere l'accesso alla data room del Monte così da formulare la propria offerta alterativa al piano elaborato dal cda guidato dall'ad Marco Morelli. Rocca Salimbeni ha però replicato di voler prima conoscere chi siano i fondi che appoggiano l'ex ministro.
Tornando agli esuberi, molto dipende dai tempi degli effettivi piani di uscita di Mps. Ipotizzando però che i 2.600 tagli annunciati da Siena siano spalmati nei primi tre anni si può stimare un costo a carico della collettività di 280 milioni (la spesa media annua per addetto è di 55mila euro): 150 milioni per le 800-900 uscite iniziali che resteranno sul fondo almeno 3 anni, 90-100 milioni per la seconda tranche, più una coda per l'ultima. L'ulteriore spia che la coperta del governo potrebbe risultare corta rispetto alle difficoltà del settore è data dalla corsa ai tagli in cui si stanno cimentando gli altri gruppi: a partire da Bpm e Banco Popolare (che, con le nozze, pensioneranno mille addetti), cui vanno aggiunti gli esuberi attesi in Veneto, quelli nelle quattro good banks e le code in Intesa Sanpaolo e Unicredit, che a breve presenterà il nuovo piano.
Sullo sfondo c'è un quadro generalizzato di conti che non tornano con la Bce. Non si capirebbe altrimenti appieno l'ordine impartito venerdì dal fondo Atlante per ottenere la fusione tra le controllate Pop Vicenza e Veneto Banca, entrambe in precario stato di salute. Proprio il vertice di Pop Vicenza, dopo aver detto che il denaro versato da Atlante non basta per il rilancio, ha sollevato lo spettro dei licenziamenti. Una potenziale slavina per il settore, contro cui i sindacati Fabi, Fisac, First e Uilca hanno già minacciato lo sciopero: si ipotizza infatti che nella sola Popolare Vicenza, sui 1.500 esuberi attesi siano appena 580 i prepensionandi. Gli altri potrebbero quindi e essere messi alla porta o accettare un contratto di solidarietà «difensiva» a zero ore. Ma si teme che la bomba sociale possa alla fine interessare fino a 3mila bancari, una volta considerato CariFerrara e il faticoso tentativo in atto di consegnare le altre tre good banks (Etruria, Marche e CariChieti) a Ubi. Il governo, per evitare gli strali di Bruxelles sugli aiuti di Stato, nella Finanziaria non prevede infatti un cent per la parte ordinaria del Fond, ma solo per le aziende che si fondono o si ristrutturano.
Tutte casistiche che ricadono nella parte straordinaria. «Bene che il governo preveda in Finanziaria un sostegno al fondo esuberi, servirebbe però che fosse potenziata anche la sua parte ordinaria», sottolinea il capo della Fisac, Agostino Megale.
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