Economia

Alibaba paga "dazio". E taglia la quotazione

Raccolti 12 miliardi sui 20 previsti. The Donald: «Pronto ad aumentare le tasse contro la Cina»

Alibaba paga "dazio". E taglia la quotazione

Il tesoro di AliBaba è ancora più ricco. Ignorando del tutto i disordini a Hong Kong, con gli studenti ancora asserragliati nelle università, gli investitori istituzionali non hanno perso tempo ieri per accaparrarsi i titoli in offerta della rivale cinese di Amazon. Così, la maxi-Ipo si è chiusa con largo anticipo, con il prezzo dei titoli fissato a 22,48 dollari per azione. Un bottino da 12,9 miliardi (inclusa la greenshoe) che poteva essere più consistente, l'obiettivo era 20 miliardi, se il gruppo fondato da Jack Ma non avesse deciso di concedere uno sconto del 4% rispetto alla quotazione di martedì scorso a Wall Street, dove il gigante dell'e-commerce è presente dal 2014.

Sul taglio possono aver inciso più motivi, ma tutti improntati alla prudenza. Certo la turbolenta situazione dell'ex colonia inglese non incoraggiava salti nel vuoto, anche se AliBaba ha voluto mandare un preciso messaggio politico confermando lo sbarco a Hong Kong dopo che Donald Trump ne aveva minacciato l'estromissione dalla Borsa di New York. E, comunque, i risultati piuttosto stentati delle Ipo di quest'anno stanno mostrando che i mercati sono restii a concedere credito illimitato a chi vuole raccogliere risorse fresche.

Dalla sua, Ali Baba ha una robustezza invidiabile, neppure lontanamente paragonabile a quella di alcuni unicorni che, fatto il botto all'esordio, hanno poi continuato a esibire risultati zoppicanti. Chi contende a Jeff Bezos lo scettro del comando nello shopping online ha quasi triplicato gli utili nel suo secondo trimestre contabile e qualche giorno fa, durante il Single Day cinese, ha dato una prova di forza incassando oltre 38 miliardi di dollari.

Insomma, una resistenza a tutto. Perfino alla guerra commerciale in atto fra Usa e Cina. Resta però da chiedersi se questa capacità di tenuta sarà conservata anche in caso di rottura dei negoziati fra Washington e Pechino. Se fino alla scorsa settimana le possibilità di un'intesa sembravano concrete, la tensione è poi risalita e i mercati sono sul chi vive (-0,41% l'Euro Stoxx 600, -0,3% Wall Street a un'ora dalla chiusura).

L'approvazione del Senato Usa di un disegno di legge a sostegno dei manifestanti di Hong Kong ha avuto come conseguenza l'irritata reazione del Dragone, che ha accusato l'America di interferire negli affari interni cinesi. E al miglioramento dei rapporti non hanno contribuito le parole pronunciate in una riunione di governo dall'inquilino della Casa Bianca, pronto «a aumentare ulteriormente i dazi sulla Cina se non stringiamo un'intesa». Con distanze ancora non colmate su nodi fondamentali (Pechino pretende la rimozione delle tariffe punitive, Washington chiede con insistenza all'avversario l'acquisto di prodotti agricoli per un controvalore di 50 miliardi) e con data e luogo dell'incontro fra Trump e Xi Jinping ancora da fissare, condurre in porto il negoziato appare tutt'altro che facile. La conferma arriva da Hu Xijin, direttore del Global Times, giornale megafono del governo cinese: «Pochi cinesi credono che la Cina e gli Usa possano raggiungere presto un accordo.

La Cina lo vuole ma è preparata per lo scenario peggiore, una prolungata guerra commerciale».

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