Alitalia arriva al capolinea. Niente bando né pretendenti

L'esperto: "Prestito ponte? Sarà bruciato per Pasqua". L'idea della nazionalizzazione e l'ostacolo della Ue

Alitalia arriva al capolinea. Niente bando né pretendenti

Alitalia è come un paziente anziano, malato terminale, attaccato dal virus. Ce la farà? La risposta è nei fatti: non ce la farà, e il governo, se continuerà a considerarla un pezzo di sistema, dovrà escogitare qualcosa per tenerla in vita. Il bando di gara per la cessione, annunciato per il 29 febbraio, non è ancora stato pubblicato, e forse non lo sarà. La data del 31 maggio immaginata per le offerte vincolanti è ormai illusoria. Tutto andrà nuovamente deserto; tutti i possibili acquirenti sono alle prese con problemi interni e Alitalia non è un buon affare. La stessa Lufthansa, secondo quanto riferito dalla tv svizzera, ha lasciato a terra 150 aerei su 750. Il primo trimestre è poi la stagione più avversa per il trasporto aereo; Alitalia negli ultimi anni nel periodo ha sempre perso non meno di 200 milioni, ora di più. «Il virus sta provocando perdite non recuperabili osserva allarmato Andrea Giuricin, docente all'Università di Milano Bicocca gli ultimi 400 milioni di prestito ponte erogati solo da poche settimane rischiano di essere bruciati ancora più in fretta, e di esaurirsi per Pasqua. La situazione è di vera emergenza, sono molto pessimista».

Da un punto di vista mediatico, il virus può paradossalmente dare una mano, perché può essere additato come un fatto imprevisto, inevitabile e catastrofico tale da giustificare l'impossibilità di una vendita. Ragione che potrebbe spingere con minori resistenze verso una nazionalizzazione: ciò potrebbe avvenire attraverso la scissione in good company, con le attività di volo, e bad company, con i debiti, per ripartire a nuovo con un azionista che potrebbe essere, senza eccessivi pudori, il ministero dell'Economia. Ma il quesito da porsi è il seguente: l'Unione europea, che ha sul tavolo il dossier per decidere se i prestiti ponte per complessivi 1.300 milioni siano o meno aiuti di Stato, può accettare che nel frattempo la compagnia diventi di proprietà statale? In effetti la cosa stride, ma in questo momento catastrofico per il trasporto aereo, le resistenze di Bruxelles parrebbero anacronistiche. Più facile pensare a un atteggiamento più morbido o dilatorio, com'è stato finora.

Quanto alla nazionalizzazione in sé, essa non è vietata dalle norme europee: a condizione che siano rispettate le regole del mercato, cioè l'azienda non può essere ulteriormente assistita da aiuti pubblici.

E qui sta il punto. Se il Mef acquista, anche temporaneamente, Alitalia, la nuova società andrà capitalizzata. Trasformare il prestito in azioni non serve a nulla, perché non fa entrare denaro in cassa. Versare una cifra media, diciamo 500 milioni, servirebbe solo a prolungare l'agonia. Un ammontare serio per il rilancio potrebbe essere come minimo un miliardo. Ma in questo momento di panico, con migliaia di imprese e microimprese a rischio fallimento, sarebbe giustificabile gettare tale cifra in quel pozzo senza fondo dell'ex compagnia di bandiera?

Il contesto, oltretutto, è molto cupo. Tutto i trasporto aereo mondiale sta prendendo decisioni d'emergenza per stare dietro, con il taglio dei costi, alla riduzione della domanda. Ma pareggiare le poste è pressochè impossibile, anche perché c'è la voce rimborsi.

Le aziende rischiano di andare in crisi di liquidità; e per far fronte alle necessità in Europa e nel mondo si attivano canali bancari e, com'è immaginabile, si negoziano segretamente sussidi pubblici per superare l'emergenza senza creare scandalo tra i contribuenti.

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