Alitalia, salvataggio in alto mare

Che strani i consiglieri di Alitalia. Nel giorno in cui Roberto Colaninno lascia la presidenza, i conti peggiorano, Air France azzera il valore della propria partecipazione e ricorda le proprie «severe condizioni»; in un giorno così nefasto che cosa fa il consiglio? «Esprime una forte fiducia nel futuro e la propria soddisfazione per alcuni indicatori di performance». I consiglieri-azionisti che non hanno ancora sottoscritto l'aumento di capitale «stanno valutando con attenzione e disponibilità la propria adesione» all'operazione, spiega una nota. Attenzione e disponibilità: colpisce la vacuità delle parole. L'aumento di capitale per ora è stato sottoscritto solo da Intesa Sanpaolo (26 milioni), Atlantia (26) e Immsi (13); quindi, 65 milioni su 300, cifra che contraddice quella «forte fiducia nel futuro» prima citata. Altri 65 milioni sono stati versati da Intesa e Unicredit come anticipazione sul futuro inoptato. Insomma, i soci paiono sul punto di sfilarsi da quello che non è stato un buon affare.
Quanto a Colaninno, ha annunciato di non essere più disponibile, dopo l'aumento, a fare il presidente; la quota che ha versato comunque è circa la metà della propria opzione, vedremo se completerà il suo apporto. L'abbandono di Colaninno, che resterà in cda ma si dedicherà principalmente a Immsi e Piaggio, sembra materializzare una delle condizioni poste dai francesi di Air France: quella di una discontinuità al vertice della compagnia. La posizione di Colaninno era ormai scomoda anche per il governo italiano.
Ieri, insomma, si è capito che la vicenda Alitalia è tuttora in alto, altissimo mare. Se qualcuno ha pensato, con una certa superficialità, che bastasse estrarre dal cilindro il duo Sarmi-Poste per rimettere in sesto conti e attività di una compagnia che in cinque anni è tornata sull'orlo del fallimento, si sbagliava.
In realtà anche ieri si è visto con nettezza che il futuro di Alitalia passa da Parigi: checché ne dica il consigliere Antonio Orsero, titolare di una quota dell'1,46%, che, sollecitato dai giornalisti, ha fatto intravedere l'ipotesi di un piano stand alone, e cioè in autonomia. Tutti si rendono conto che una simile ipotesi oggi è pura fantasia.
Ma le vere tegole ieri sono arrivate da Parigi. Nell'occasione del cda per la trimestrale, il numero uno di Air France, Alexandre de Juniac è stato piuttosto tranchant e non si è sbilanciato sull'adesione o meno all'aumento di capitale. «Aiuteremo Alitalia alle nostre severe condizioni finanziarie, industriali e sociali» ha detto; da osservare quell'«aiuteremo» usato per «parteciperemo alla ricapitalizzazione»; per i francesi un affare viene derubricato ad aiuto. «Intendiamo partecipare (all'aumento, ndr) se le nostre condizioni saranno soddisfatte, altrimenti non prevediamo di partecipare». Ma quali sono le condizioni poste dai francesi? Quelle finanziarie riguardano una ristrutturazione del debito con le banche (circa 1 miliardo), quelle sociali si riferiscono all'attivazione di ammortizzatori analoghi a quelli che furono accordati cinque anni fa al personale in esubero; quelle industriali si riferiscono a una riprogettazione della compagnia, con tagli pesanti alla flotta e al personale, e per essa verrebbe accentuato il ruolo di satellite di Air France.

De Juniac ha lamentato scarsa trasparenza: «Avremmo preferito essere informati piuttosto che scoprire i risultati delle discussioni alla fine. Siamo leali e ci aspettiamo altrettanto». Intanto nel bilancio di Air France il valore della partecipazione in Alitalia è stato portato a zero, cosa che ha comportato una perdita di 120 milioni nel conto economico.

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