Arriva pure la tassa europea Italia "stangata" già nel 2013

Oggi la Commissione Ue approva l'accordo per tassare gli scambi finanziari. Tra gli 11 Paesi c'è anche il nostro

Arriva pure la tassa europea Italia "stangata" già nel 2013

Attenzione! Pericolo «euro-tas­sa»! La Commissione europea sta per approvare la Tobin Tax,l’impo­sta sulle transazioni finanziarie, in 11 Paesi europei, Italia inclusa. Si tratta, soprattutto, di una trovata propagandistica franco-tedesca firmata Angela Merkel e François Hollande,ma anche l’Italia del pre­mier Mario Monti ha deciso di ac­codarsi al corteo degli «stangato­ri » e così un’altra imposta è desti­nata ad abbattersi sui portafogli de­gli italiani che risparmiano. Con una differenza di non poco conto: mentre l’Europa sta solamente av­viando la procedura, il nostro Pae­se è già a buon punto e quindi- se la Legge di stabilità sarà approvata così com’è-già dal primo gennaio potremo dire di essere i primi del Vecchio Continente ad aver appli­cato la nuova tassa prima, molto prima di tutti gli altri.
Ma andiamo con ordine: oggi la Commissione Ue adotterà la deci­sione che di fatto sblocca la «coope­razione rafforzata» sulla Tobin Tax. Si utilizza il più complicato
«cooperazione rafforzata» perché non tutti i Paesi europei né tanto­meno quelli di Eurolandia sono d’accordo sulla tassa. Ma i dieci che partiranno (con l’Estonia pronta ad accodarsi subito) sono tutti di primaria importanza: Ger­mania, Francia, Italia, Spagna, Au­stria, Belgio, Portogallo, Slovac­chia, Slovenia e Grecia. Sarà diffi­cile per i Paesi che hanno aderito alla proposta tornare indietro per­ché il pachiderma burocratico eu­ropeo sta per mettersi in moto. Il processo è irriversibile o quasi.Al­l’Ecofin del 12 novembre la decisio­ne sarà ratificata ufficialmente, poi toccherà all’Europarlamento legiferare (la maggioranza però già c’è) e, infine,toccherà agli Stati recepire la normativa. Insomma, ci potrebbe volere un anno o an­che di più salvo che per i portafogli degli investitori tricolore.
Ma come funzionerà la nuova gabella? La proposta della avanza­ta da Bruxelles è sostanzialmente una ripresa del progetto presenta­to un anno fa: aliquota minima
dello 0,1% su azioni e obbligazio­ni e dello 0,01% sui derivati e altri prodotti finanziari. Secondo le sti­me della stessa Commissione il gettito annuo potrebbe attestarsi su scala Ue a 57 miliardi di euro ma potrebbe salire anche a quota 70. La relazione tecnica della Leg­ge di Stabilità stima in poco più di un miliardo le maggiori entrate per lo Stato che ha deciso di appli­care un’imposta di bollo unica del­lo 0,05%, Bot e Btp esclusi.
Insomma, non è tantissimo con­siderati i numeri del bilancio pub­blico, ma gli effetti, avverte la stes­sa relazione, sono deleteri perché si mettono a rischio il 30% delle transazioni di Borsa e l’80%di quel­le in derivati. Il motivo è presto det­to: la grande finanza fugge le tasse e, per attirare le transazioni (sia di natura azionaria che di altro tipo) occorrono condizioni di favore e
quello 0,05% su un mercato dei de­ri­vati che nel nostro Paese vale cir­ca 10mila miliardi di euro (circa 700 miliardi il valore degli scambi su titoli quotati in Borsa). Ecco per­ché Stati che hanno tra le principa­li fonti di entrate la finanza (come Gran Bretagna, Olanda e Lussem­burgo) hanno scelto di non far par­tedegli «sperimentatori».Analoga­mente non deve sorprendere che tra i più fieri oppositori della Tobin Tax vi sia una nazione che, pur non essendo entrata nell’euro, ha da sempre brillato per la qualità del welfare e quindi della tassazione generale. È la Svezia: il ministro del­le Fin­anze Borg ha più volte dichia­rato che si tratta di una «tassa peri­colosa ». La Svezia ha sperimenta­to negli anni ’ 80 l’imposta inventa­ta da James Tobin e l’ha tolta dopo un decennio, perché aveva deva­stato il suo mercato finanziario.
Il paradosso è che secondo la Commissione guidata da José Ma­nuel Barroso, la Tobin Tax potreb­be creare una condizione di «pari­tà tra la finanza e gli altri settori nel coprire i costi della crisi, rendendo i mercati più efficienti e allonta­nandoli da forme di scambio più speculative». Il problema è che a Londra come ad Amsterdam di queste «condizioni di parità» non si sono accorti e quindi sarà più fa­cile per gli investitori scegliere quelle piazze per evitare il balzel­lo.

Invece, coloro che l’appliche­ranno dovranno confrontarsi non solo con gli effetti recessivi dell’im­posta (che graveranno sui piccoli risparmiatori) ma anche con la per­dita di posti di lavoro in un settore che diverrà meno competitivo.

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