Le banche brindano alle nuove regole

Il rinvio di tre anni e lo stop sui Btp fanno volare i titoli e la Borsa chiude a +1,4%

Le banche brindano alle nuove regole

Piazza Affari brinda a due accordi più morbidi del previsto, raggiunti dopo mesi di trattative molto travagliate: quello tra Londra e Bruxelles, che chiude la prima fase della Brexit, e quello sulle riforme di Basilea III (che di fatto diverrà Basilea IV) annunciato mercoledì sera a mercati chiusi, e che ha dato la scossa al settore del credito. A Milano l'indice Ftse Mib ha guadagnato l'1,4%, distanziando Parigi (+0,2%), Francoforte (+0,8%) e Londra (+1%), mentre sul mercato si diffondevano le prime stime di una «soft» Brexit che dovrebbe limitare i «traumi» del distacco del Regno Unito dall'Europa, garantendo diritti speciali agli oltre 3 milioni di stranieri che vivono al di là della Manica. La Gran Bretagna, secondo il Financial Times, stima che il costo degli obblighi finanziari tra 40 e 45 miliardi di euro.

A sostenere tuttavia il listino milanese sono state le banche, trainate da Unicredit che ha guadagnato il 4,1%, Bper (+1,3%), Banco Bpm (+2,9%), Ubi (+2,1%) e Intesa Sanpaolo (+2,6%). E in effetti per le banche italiane l'annunciata revisione delle norme di Basilea III molto meno stringente del previsto ha rappresentato una boccata d'ossigeno o, se si preferisce, uno scampato pericolo. I timori maggiori risiedevano nelle misure particolarmente vincolanti invocate dai vertici della Bundesbank e della Vigilanza Unica sui titoli di Stato che da sempre riempiono le casseforti degli istituti di credito tricolore.

Al contrario di quanto finora richiesto dalle regolamentazioni europee, i «falchi» del rigore europeo avevano infatti proposto di porre dei limiti all'esposizione al debito sovrano (ovvero Bot e Btp per quanto riguarda l'Italia) delle banche e dei requisiti di capitale a fronte delle obbligazioni governative detenute, differenziandoli a seconda del «rischio teorico pendente sui singoli Stati. Al momento simili misure, penalizzanti per gli istituti italiani, non sono invece all'orizzonte - ha sottolineato il presidente della Bce, Mario Draghi: «Molti, se non la maggior parte dei membri del Ghos (l'organo che guida il comitato di Basilea ndr), non hanno voluto misure sull'esposizione al debito sovrano». E per le banche italiane, come sottolineano gli analisti di Banca Imi, si tratta di un elemento molto positivo. Gli esperti hanno apprezzato, oltre alla stessa modifica che risolve una grande incertezza che pesavano sul settore, anche i nove anni totali concessi agli istituti di credito «per adattare i modelli di business alle nuove regole ed evitare il rischio di fabbisogni di capitale nel breve termine». La riforma è infatti slittata al 2022 ma entrerà in pieno regilme solo nel 2027.

Credit Suisse addirittura parla di una riforma «migliore del previsto che potrebbe persino fungere da catalizzatore per il settore bancario». Entrando nel dettaglio tecnico non dovrebbe essere messa in discussione l'adeguatezza patrimoniale raggiunta, in questi ultimi anni, dalle banche italiane. Di conseguenza pare allontanarsi il rischio di una nuova ondata di ricapitalizzazioni, innescata dai paletti piantati da Bruxelles. Le stime degli analisti concordano infatti con le rassicurazioni rilasciate da Draghi, secondo cui «non ci sarà un forte impatto sul capitale».

L'introduzione lenta e graduale di alcuni requisiti di capitale (la cosiddetta output floor o soglia) dovrebbe avere, per Equita, un impatto medio sulle banche italiane di 112 punti base in termini di coefficienti patrimoniali (il Common equity tier one), meno delle attese. «La nuova regolamentazione è meno stringente di quanto si pensava», rimarca Equita secondo cui «Ubi dovrebbe avere l'impatto meno pesante (-8 punti base), mentre per Unicredit è di circa 190 punti base».

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