Economia

"Con le banche-prodotto a rischio il ruolo sociale"

"In atto la ritirata dal credito. E se Agricole prende Bpm, il secondo istituto in Italia sarà francese"

"Con le banche-prodotto a rischio il ruolo sociale"

Lando Maria Sileoni guida il più grande sindacato bancario, la Fabi, 120mila iscritti sui 280mila del'intero settore. Cosa stanno diventando le banche? Svolgono ancora il ruolo sociale che hanno sempre avuto?

«La differenza sostanziale col passato è che oggi ci sono gruppi molto attenti al sociale, finanziano ricerca, fondazioni, sanità e opere pubbliche. Ma poi questa generosità viene sistematicamente annacquata dal fatto che le banche sono sempre meno attente, nei fatti, a territori e credito. La giustificazione è che la Bce pretende bilanci puliti senza più sofferenze. Un tema reale, ma non quanto lo fanno apparire. Mentre è vero che le banche preferiscono spingere sulla trasformazione degli sportelli in negozi finanziari dove vendere prodotti finanziari e assicurativi perché i ritorni economici su questi sono più alti rispetto agli impieghi».

Quindi un tempo il ruolo sociale corrispondeva a erogare credito nel territorio di riferimento?

«Esattamente: la crescita economica degli anni 70, 80 e 90 è legata al rapporto stretto fra banche, imprese e territori. Mentre oggi lo sforzo di raggiungere clienti e persone sta tutto nella guerra commerciale per vendere prodotti. Poi sì, fanno anche beneficenza».

Dove porta la trasformazione?

«Ai negozi finanziari, che richiedono investimenti in nuove tecnologie, pur non essendo una trasformazione definitiva, perché il fintech è dietro l'angolo».

E a voi non garba.

«Dipende. Di sicuro se questa trasformazione non viene gestita socialmente, non passerà. Non possiamo certo fare come le banche tedesche o olandesi, che hanno cacciato migliaia di persone».

Le banche seguono i loro piani industriali, che vengono condivisi con voi. Non è così?

«Ma la guerra in Ucraina ha rallentato l'attuazione dei piani già presentati. Ci saranno ritardi e inevitabili aggiustamenti. Al momento neanche le banche sanno bene cosa fare. Dipendono, purtroppo, molto dai loro consulenti».

Quindi quali saranno i tempi e i punti di caduta?

«Piani industriali e contratto. I piani in corso sono stati presentati tra 2021 e '22. Quindi il colpo finale arriverà nel 2024 e '25. E se non ci sarà la tutela dell'occupazione, noi li contrasteremo. È indispensabile avere un contratto che deve prevedere le nuove figure previste dalla trasformazione, viceversa non avremo gli strumenti per difendere i lavoratori».

Quando scade il contratto?

«A fine anno».

In tutto questo, il tema delle pressioni commerciali è centrale?

«Certo: è la trasformazione in atto che produce pressioni, che non sono solo commerciali. Quelle indebite mettono i lavoratori bancari in condizione di proporre alla clientela prodotti inadeguati. E così si mette a rischio il risparmio del Paese».

Ma la politica se ne rende conto?

«Abbiamo chiesto con forza l'incontro del 17 maggio scorso alla Commissione Banche. E abbiamo detto le cose come stanno, informando il Parlamento di cosa succede in banca. A questo punto la politica non potrà mai più dire che non sapevano. Anche perché abbiamo chiesto il sanzionamento di quelle banche che su questo tema non rispettano gli accordi sindacali».

E avete anche una soluzione da proporre?

«In alcuni grandi gruppi basterebbe concretizzare la sensibilità sociale espressa dal vertice per risolvere almeno la metà dei problemi che, ricordiamolo, hanno generato anche casi di disturbi psichiatrici e psicologici. Eppure, è una situazione che viene negata. E che sfugge ai ceo, perché parte dalla prima linea dei manager. I quali, con i risultati, ottengono bonus nell'ordine del milione di euro. Per combattere le pressioni serve una onestà intellettuale di alcuni responsabili commerciali, del personale e delle politiche sindacali».

E poi c'è il Risiko. Quali sono le grandi partite aperte nel sistema?

«Una è l'avanzata del Credit Agricole in Italia: un conto era controllare Cariparma, altro è se fa l'accordo con Banco Bpm e diventa la seconda banca in Italia».

Seconda non è Unicredit?

«Oggi Intesa Sanpaolo è di gran lunga la prima e Unicredit ha scontato sia di dover ripartire quasi da zero dopo la gestione Mustier, sia la demagogica invasività della politica perché la trattativa su Mps è coincisa con la campagna elettorale. Mentre se i francesi, liberi da condizionamenti politici, si prendono una rete di sportelli come quella di Bpm, strategica, capillare soprattutto nel Nord, con la loro fabbrica di prodotti alle spalle, allora cambia la musica. Su Mps tuteleremo al massimo tutti i lavoratori e le loro famiglie».

Ma gli sportelli ormai non li vuole nessuno.

«Io dico che pandemia e guerra stanno facendo rivalutare la presenza negli sportelli. Non è un caso che le Poste si siano sostituite, sono prime in Europa nella vendita di carte di credito. Oggi le banche vendono alle Poste prodotti finanziari e mutui. È vero che incassano le commissioni, ma alla lunga il territorio farà poi riferimento alle Poste. Vedrete che se Agricole prenderà il Banco Bpm non chiuderà sportelli. E costringerà anche gli altri a tenerseli.

Le società di consulenza internazionali, se non vengono intelligentemente gestite dalle banche, porteranno il settore a sbattere».

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