Banche, scoppia la mina della recessione

Dopo il rimbalzo di inizio anno, i big del credito hanno perso fino al 30% in Borsa. Ecco perché

Banche, scoppia la mina della recessione

Quando la tempesta della crisi del debito sovrano Ue sembrava ormai alle spalle, sarebbe stato facile scommettere su un’ulteriore ripresa in Borsa delle banche italiane. Ma trascorsi solo dieci giorni dalla seconda asta di rifinanziamento a lungo termine (Ltro) di fine febbraio è iniziata l’inversione di tendenza. I principali istituti di credito hanno registrato flessioni comprese tra i 20 e i 30 punti percentuali vanificando la «rimonta» di Natale.
Ad aver mutato il sentiment del mercato, però, non è tanto la minaccia delle ricapitalizzazioni imposte dall’Eba, ma il contesto macroeconomico particolarmente negativo. Che lascia presagire un aumento delle sofferenze e un contestuale assorbimento di risorse per far fronte a nuovi accantonamenti. A queste considerazioni si aggiunge una valutazione di tipo tecnico: con i rialzi di gennaio e febbraio l’indicatore prezzo/valore di libro delle principali banche italiane era compreso in un range 0,5-0,7 ritenuto eccessivo dalle case d’affari, critiche nei confronti dei giganti di casa nostra.
Intesa e Unicredit
I due big player italiani hanno effettuato scelte strategiche simili, anche se in tempi differenti. Entrambe sono reduci da due maxiaumenti conclusi con successo (5 miliardi per Ca’ de Sass a maggio e 7,5 miliardi per Piazza Cordusio a gennaio). Entrambe hanno scelto la strada della svalutazione degli avviamenti (10,8 miliardi Unicredit; 10,2 miliardi Intesa). Entrambe sono riuscite a riportare il Core Tier 1 sopra il 9% e hanno mostrato segnali di inversione di tendenza: la banca guidata dall’ad Federico Ghizzoni ha riportato in utile la business unit italiana, mentre il neo ad di Intesa Enrico Tomaso Cucchiani ha mostrato molta aggressività sul margine di interesse. Unicredit dovrà individuare anche un nuovo presidente: domani vertice tra Fondazioni e nuovi soci e giovedì comitato governance. Entrambe comunque, hanno molte frecce al loro arco.
Mps e Banco Popolare
Anche per le banche guidate da Fabrizio Viola e da Pier Francesco Saviotti le problematiche sono abbastanza simili. L’obiettivo principale è stato quello di evitare le ricapitalizzazioni imposte dall’Eba (3,2 miliardi per il Monte e 2,7 miliardi per il Banco). Il bilancio presentato dal gruppo con sede a Verona aveva tranquillizzato gli operatori: il buy back degli ibridi aveva convinto il mercato che l’obiettivo di un Core tier 1 del 9% fosse raggiungibile senza aumento e senza conversione del soft mandatory da un miliardo. Incorragiante il risultato operativo, al netto degli impairment. Differente il percorso scelto da Mps che ha demandato al tandem Profumo-Viola le scelte strategiche: cessione di asset (in pole Biverbanca), deconsolidamento di asset e deleveraging.
I rischi
Il mercato ha tuttavia ritenuto di penalizzare alcune scelte del sistema-Italia. Ad esempio, come riportato ieri dal New York Times, la scelta di utilizzare le risorse del Ltro per fare carry trade con i Btp, ritenuti ancora «rischiosi» nonostante le manovre del premier Monti e nonostante dalle vendite a fine marzo si siano ottenute plusvalenze del 13%. Ultima ma non meno importante l’esposizione al ciclo economico combinata con la tradizionale sovraesposizione verso le grandi imprese: recessione vuol dire meno utili e quindi maggiore dipendenza dai prestiti e minore propensione al loro rimborso.

Secondo Barclays, lo scenario peggiore potrebbe comportare per banche commerciali come Mps una riduzione dell’Eps 2013 di almeno il 50%, mentre anche corazzate come Intesa potrebbero veder scendere il Rote (ritorno sul capitale tangibile) al di sotto del 5%. Ecco perché le recenti discese borsistiche tra il 20 e il 25% si possono combattere solo con un maggiore sforzo per le reti.

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