La Procura di Milano ha chiuso l'inchiesta battezzata «Crazy diamond» sui diamanti venduti in banca come investimento che nel febbraio scorso ha portato al sequestro preventivo di oltre 700 milioni a due broker di Intermarket Diamond Business (Idb) e della Diamond Private Investment (Dpi), e ai manager di cinque banche (Banco Bpm, la controllata Banca Aletti, Unicredit, Mps e Intesa Sanpaolo). I presunti profitti illeciti sono stimati attorno ai 500 milioni. Occorre, tuttavia, sottolineare che i quattro istituti coinvolti hanno avviato da tempo sia pratiche di rimborso che procedure di conciliazione con i clienti «scottati» dagli acquisti delle pietre preziose.
Intanto, gli indagati dalla Procura sono saliti a 94: si tratta di 87 persone fisiche, rispetto alle precedenti 68, e sette società, di cui i cinque istituti di credito, inquisite per la responsabilità amministrativa degli enti (la legge 231 del 2001). Anche le parti offese, cioè i clienti che ritengono di essere stati danneggiati e intendono partecipare al processo, sono aumentate a 297. E l'elenco potrebbe allungarsi ancora: i magistrati hanno infatti disposto uno stralcio lasciando ancora aperto un fascicolo bis in cui raccogliere le decine di altre persone che stanno continuando a presentare richiesta di essere riconosciute come parti lese.
I reati ipotizzati, a vario titolo, dalla pm Grazia Colacicco e dal procuratore aggiunto Riccardo Targetti sono truffa, autoriciclaggio, riciclaggio, corruzione fra privati e, solo per il Banco Bpm e un suo dirigente, ostacolo all'autorità di vigilanza. Le eventuali richieste di rinvio a giudizio o di archiviazione potrebbero essere presentate già dal 25 ottobre. La procura sostiene che Idb e Dpi con la consapevole partecipazione delle banche abbiano condotto la presunta truffa sino al dicembre 2016. A farne le spese, centinaia di clienti ignari tra cui anche alcuni vip come Vasco Rossi che avrebbe perso circa 2,5 milioni di euro, l'industriale Diana Bracco (più di un milione), la conduttrice tv Federica Panicucci (54mila euro) e l'ex showgirl Simona Tagli (29mila euro).
Nel mirino dei pm sono finite le commissioni di intermediazione sulla vendita delle pietre che andavano da un minimo del 12% fino a un massimo del 24,5% per le banche coinvolte, quando qualunque altro prodotto finanziario fruttava loro fra l'1 e il 2%; direttive interne che avrebbero spinto i funzionari a consigliare l'acquisto del presunto «bene rifugio» ai clienti degli istituti; regali in viaggi, gioielli, reperti archeologici da parte delle società che gestivano in duopolio il business dei brillanti «da investimento» ai dirigenti di banca perché promuovessero il loro prodotto; l'adesione di uno dei broker agli aumenti di capitale di due banche. In sostanza, ai clienti veniva proposto l'acquisto di diamanti come «bene rifugio» a «liquidabilità certa», un prodotto finanziario che avrebbe garantito rendimenti fra il 2% e il 5 per cento. Ai clienti veniva fatto credere che il prezzo pagato fosse il valore effettivo della pietra, mentre comprendeva l'Iva, le commissioni alle banche, i costi della società venditrice (assicurazione, deposito). Dalle perizie effettuate il valore effettivo dei diamanti è risultato compreso tra il 30 e il 50% del prezzo pagato.
Per di più il cliente avrebbe potuto chiedere di vendere le sue pietre solo pagando una ulteriore commissione dal 7 al 16% ai broker in funzione della durata dell'investimento. Inoltre, si presentava come «quotazione» dei diamanti il «listino prezzi» delle due società.
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