Dai tempi della sgangherata profezia dell'agosto 2007 («Il peggio della crisi è dietro di noi») fino alla più recente topica sull'inflazione («È un fenomeno temporaneo»), Christine Lagarde ha sempre avuto qualche problema di mira con le previsioni. Adesso, come ha fatto anche in quel falò della vacuità che è da sempre il World Economic Forum di Davos, va ripetendo sicura che la recessione nell'eurozona «non è il nostro scenario base». Compiuti gli opportuni gesti apotropaici, c'è da augurarsi che la capa della Bce abbia, almeno per una volta, ragione. Ritrovarsi con un Pil in contrazione mentre l'Europa chiede di serrare le maglie della spesa pubblica e i prezzi al consumo sono al massimo storico (7,4% in aprile), complicherebbe la nostra vita e il piano di volo della banca centrale.
Da qualche settimana Francoforte ha infatti varcato il suo Rubicone: entro la fine del terzo trimestre sarà dato l'addio alla politica dei tassi negativi. «Siamo a un punto di svolta», ha detto Lagarde. È su come si articolerà il processo di normalizzazione della politica monetaria che però permangono delle incertezze. Se non sembrano esserci dubbi sul fatto che la prima stretta arriverà fra un paio di mesi, non è detto che le stime dei mercati (rialzi da un quarto di punto in ciascuna delle riunioni a partire da luglio) si riveleranno corrette. Sulla tempistica e sull'entità dei giri di vite, la contrapposizione fra falchi e colombe all'interno della Bce è netta.
Degno successore di Jens Weidmann, il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, ha fretta di regolare i conti con il passato. In Germania il carovita morde più che altrove, e sia la tornata di rinnovi contrattuali, sia richieste di adeguamenti salariali rischiano di innescare ulteriori tensioni inflazionistiche. Berlino non lo dice apertamente, ma un aumento secco di mezzo punto dei tassi in luglio sarebbe considerato un buon viatico nella lotta all'aumento dei prezzi. Parigi, però, non ci sente: «Un aumento di 50 punti base non fa parte del consenso a questo punto. Gli aumenti dei tassi di interesse saranno graduali», ha detto il governatore della banca di Francia, Francois Villeroy de Galhau. È su questa linea che si muove anche l'ex responsabile del Fondo monetario internazionale, pur riconoscendo che l'istituto di Francoforte guarda «con grande attenzione ai negoziati sui salari». Altre concessione ai tedeschi, tuttavia, non ne fa: «Dobbiamo muoversi nella giusta direzione, ma non dobbiamo essere precipitosi o farci prendere dal panico». Più che alla necessità di tenere a bada gli spread, Lagarde continua a ripetere che l'immobilismo mantenuto finora dalla Bce rispetto alla Fed è legato a «una situazione ben diversa per quanto riguarda l'inflazione» fra Europa e Usa. Perciò, «siano perfettamente in tempo e non siamo in ritardo. C'è grande valore nell'essere costanti e prevedibili e abbiamo indicato da tempo nella nostra forward guidance che avremo terminato gli acquisti netti e poi avremmo guardato ai tassi di interesse». Resta il fatto che i mercati continuano a essere condizionati dalle prossime mosse dell'Eurotower.
Ieri i rendimenti dei Btp a 10 anni sono saliti sopra il 3% e quelli del Bund sopra l'1%, mentre le Borse sono scese (-0,93% lo Stoxx600, -1,1% Milano) in scia all'ennesimo tonfo del Nasdaq: -2,50% a un'ora dalla chiusura.
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