Bce non scarica il bazooka «Possibili altri interventi»

L'Eurotower: «Niente tagli agli aiuti», ma sale la tensione Nord-Sud. Petrolio oltre i 50 dollari

Rodolfo Parietti

Il solco è tracciato, e dal solco non si esce. Non c'è un solo riferimento, nelle minute di settembre del board della Bce, del proposito di depotenziare il piano di acquisto di titoli da 80 miliardi di euro al mese, così come ventilato nei giorni scorsi da alcune indiscrezioni. Nessuna ritirata, nessun aggiustamento in senso restrittivo della politica monetaria, da tempo adottata per riportare sui binari giusti inflazione e crescita. Il verbale è l'esatta fotocopia di quanto Mario Draghi va ripetendo da mesi, con un refrain quasi ossessivo: «Non ci devono essere dubbi sulla determinazione del direttivo della Bce - si legge nel documento - di eseguire gli acquisti di asset, in linea con le sue passate decisioni e di adottare ulteriori misure, se necessario, per realizzare il proprio obiettivo di stabilità dei prezzi». Se non fosse ancora sufficientemente chiaro, l'Eurotower ragiona ancora in termini espansivi, con un orizzonte temporale che va oltre la scadenza naturale - marzo 2017 - del quantitative easing.

È peraltro lo scenario congiunturale a rendere «cruciale» il mantenimento di «politiche monetarie accomodanti», comunque insufficienti, da sole, a garantire la crescita. È «necessario un contributo ben più decisivo da parte di altre aree della politica», ribadisce l'istituto di Francoforte. Il problema è soprattutto la diversa velocità con cui si muovono i Paesi dell'eurozona. Troppa la differenza di passo, rileva la banca centrale, con alcune aree ancora distanti dai livelli pre-crisi. Ciò rende ancora «lunga la strada per giungere a una convergenza sostenibile tra i vari Paesi». Cioè tra Nord e Sud. Seppur non esplicitato, il timore della Bce è che questa disomogeneità, una volta resa ancor più evidente anche dai diversi livelli di inflazione, possa aumentare le pressioni per una politica meno lasca da parte di chi è messo meglio economicamente.

Un aumento delle tensioni che potrebbe essere innescato dal petrolio se le quotazioni del barile, tornate ieri sopra i 50 dollari per la prima volta dalla scorso giugno, continuassero a salire. Molto dipenderà dall'esito del vertice Opec di fine novembre, chiamato a ratificare (e a dettagliare) l'intesa sul taglio della produzione raggiunta ad Algeri. Sempre che l'accordo non venga siglato prima, nella riunioni a Istanbul dell'8 e del 13 ottobre cui prenderanno parte anche i Paesi non aderenti al Cartello come la Russia.

Le Borse sono intanto rimaste ieri alla finestra (Milano è rimasta praticamente

invariata), in attesa delle indicazioni di oggi sull'occupazione Usa. Se in linea con le previsioni (170mila nuovi posti creati), i dati potrebbero convincere la Fed a rompere gli indugi e ad alzare i tassi entro la fine dell'anno.

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