La Bce prepara il nuovo bazooka

In arrivo in settembre il taglio dei tassi e la nuova edizione del Quantitative easing

La Bce prepara il nuovo bazooka

«La potenza è nulla senza controllo», recitava un fortunato spot di fine anni Novanta. La Bce farebbe bene a tenerlo a mente, mentre si appresta a caricare le testate nucleari della politica monetaria. Ben oltre il bazooka, dalla sala comandi parrebbe infatti spuntare un «whatever it takes» ancor più forte e risoluto, fatto di un quantitative easing dal perimetro allargato al possibile acquisto di titoli azionari e corroborato dal taglio dei tassi.

A orchestrare il tutto sarà sempre Mario Draghi, nella riunione del prossimo 12 settembre. Non solo per sollevare Christine Lagarde, che ne prenderà il posto da novembre, dall'impaccio di un battesimo del fuoco, ma perché - da come la vedono all'Eurotower - temporeggiare oltre esporrebbe a troppi rischi.

Il modo in cui ieri un uomo solitamente cauto come Olli Rehn, governatore della banca centrale finlandese, ha spiattellato al Wall Street Journal il ruolino di marcia, tradisce la fretta dell'Eurotower di comunicare l'imminente arrivo del Settimo cavalleggeri a protezione di un'eurozona ormai accerchiata dalla recessione. E di non giungere, buona ultima, su una scena ormai dominata dai provvedimenti di allentamento messi in atto dagli istituti di emissione.

Dal punto di vista di Rehn, «è importante presentare un pacchetto di misure significativo e di grande impatto a settembre» basato su acquisti «sostanziali e sufficienti» di bond e sulla sforbiciata al tasso sui depositi presso la Bce, che dal -0,4% attuale potrebbe scendere fino a -0,7% prevedendo però una sorta di ammortizzatore per non danneggiare troppo le banche.

In base alle stime diffuse dagli analisti quando il Qe 2.0 era ancora poco più che una suggestione, gli acquisti di asset non dovrebbero superare i 50 miliardi di euro mensili, contro il picco di 80 miliardi raggiunto nel primo round di alleggerimento quantitativo.

Oltre all'interrogativo se verrà mantenuta la regola del capital key (cioè lo shopping calibrato sulla quota detenuta da ciascun Paese nel capitale dell'istituto di Francoforte), resta da vedere quanto il nuovo pacchetto durerà, visto che i mercati si aspettano uno sforzo non inferiore ai 500 miliardi, e se sarà esteso anche alle obbligazioni corporate e alle azioni.

La porta sembra aperta a ogni soluzione. «Quando lavori con i mercati finanziari, spesso è meglio superare i limiti rispetto a quelli inferiori», ha spiegato Rehn. Convinto inoltre della necessità di un pacchetto di stimoli «oltre le attese degli investitori» .

Sono parole che le Borse hanno salutato ieri con favore, anche se le tensioni che stanno agitando i mercati (dalla guerra dei dazi alla Brexit, dai ripetuti segnali di rallentamento dell'economia globale ai nodi geo-politici, fino all'inversione della curva dei rendimenti dei T-bond) sembrano impedire scorribande da Toro.

Piazza Affari ha chiuso con un +1,51%, sostenuta dall'impennata delle banche (+2,7% l'indice di settore), mentre lo spread è sceso a 208 punti e, nel complesso, si è assistito a un nuovo calo dei rendimenti dei bond e del decennale tedesco in particolare (-0,70%). Bene l'Europa, con lo Stoxx600 in rialzo dell'1,24% e anche Wall Street (a un'ora dalla chiusura), malgrado le fosche previsioni di Standard&Poor's, secondo cui negli Usa sono salite al 30-35% le probabilità di una recessione nei prossimi 12 mesi.

Proprio ciò che Donald Trump vuole evitare a tutti i costi. Ma anche se da più parti l'invito è quello di porre fine alla trade war con la Cina in modo da proteggere l'economia, il tycoon continua a picchiare duro sulla Fed, così riluttante a schiacciare i tassi verso lo zero.

A The Donald piace probabilmente molto di più la Bce, tanto sensibile agli investitori da essere pronta a stupirli. Anche se ciò potrebbe avere il sapore di una resa, di una perdita di controllo sui mercati che annullerà la potenza esibita con le nuove misure. Proprio come ammoniva il celebre spot.

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