Dalle segrete stanze della Bce qualche spiffero dev'essere filtrato, nei giorni che hanno preceduto l'attesissima riunione di oggi, chiamata a decidere tempi e modalità del tapering. Perché altrimenti non si spiegherebbe una tale concordanza di opinioni tra gli analisti, tutti d'accordo su una riduzione degli acquisti mensili, a partire dal prossimo gennaio, dagli attuali 60 a 30 miliardi e su un prolungamento del quantitative easing fino al settembre del 2018. Mario Draghi potrebbe però sorprendere tutti ricalibrando il piano in modo più progressivo, così da scalare meglio la dose degli aiuti (ai mercati non dispiacerebbe), ma anche per dar prova che le colombe dell'Eurotower continuano ad avere un peso prevalente nelle linee-guida dell'istituto. L'ex governatore di Bankitalia sta resistendo ormai da mesi non solo alle pressioni esercitate all'interno del board dai falchi capeggiati dalla Bundesbank, ma anche a quelle esterne. Quasi sempre di matrice tedesca. Un contributo al partito della rottamazione del Qe è arrivato puntuale ieri da Clemens Fuest, presidente dell'Ifo, l'istituto di ricerca economica con sede a Monaco di Baviera. «Se la ripresa nell'eurozona diventerà salda, la Bce potrebbe ridurre i suoi acquisti a zero entro marzo». Una road map certo non sotto il segno della gradualità.
Il costante consolidamento della crescita è il miglior argomento a sostegno di quanti chiedono una ritirata dalla misure emergenziali, al quale Draghi può opporre l'ancora insoddisfacente andamento dell'inflazione lontana dal target del 2%, non costituendo più un problema la deriva rialzista dell'euro. Poi, a consigliare cautela, ci sono le incertezze di tipo politico che gravano su Eurolandia: dall'esito del voto tedesco che apre scenari poco favorevoli per i Paesi del Club Med agli impacci con cui procede la Brexit; dalla questione catalana alla mancata formazione di una coalizione di governo nei Paesi Bassi, fino alle elezioni in Italia nel 2018 che potrebbero determinare una situazione di ingovernabilità. Con ripercussioni dolorose sugli spread (e quindi sui rendimenti dei nostri bond) se il paracadute della Bce non ci fosse più.
Non è quindi da escludere che il Qe sia esteso di altri nove mesi, ma senza dare un'indicazione precisa su quando verrà posta la parola fine agli acquisti. Draghi ha comunque degli ostacoli di natura tecnica davanti a sè, nel caso volesse prolungare sine die lo shopping: su tutti, la penuria di titoli eligibili. Sul mercato vi sono solo circa 250-300 miliardi di euro di bond acquistabili, di cui appena 60 in Germania. Per questo una riduzione degli acquisti appare inevitabile a meno di sperare in un improvviso balzo delle nuove emissioni, che tuttavia non appare nelle carte.
Oppure, è il parere di alcuni analisti, in dicembre la Bce potrebbe ribilanciare gli acquisti spostando più l'asse sui bond societari e limando la quota di titoli di Stato che si mette in pancia.Sui tassi, invece, non sembrano esserci dubbi: di un loro rialzo non se ne parla prima del 2019.
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