Giochi chiusi per la vicepresidenza della Bce, che dal prossimo primo giugno sarà affidata allo spagnolo Luis de Guindos, designato dall'Eurogruppo. In realtà, una vera e propria competizione per la poltrona di numero due dell'istituto di Francoforte non c'è mai stata: già favorito alla vigilia, l'attuale ministro spagnolo dell'Economia era rimasto ieri l'unico candidato dopo il ritiro, da parte dell'Irlanda, del governatore della banca centrale nazionale Philip Lane.
Insomma: le convenienze di natura politica hanno finito per prevalere sulle competenze tecniche e, financo, sui rischi di colpire l'autonomia dell'Eurotower. Anche se de Guindos si è subito premurato di dire «Difenderò l'indipendenza della Bce con tutte le mie forze», conta di più come l'asse Berlino-Parigi abbia fatto prevalere tutto il proprio peso, riuscendo a coagulare subito attorno al nome del ministro iberico le adesioni di Portogallo, Malta, Slovacchia, Lettonia. A nulla è servita la minima resistenza opposta dall'Italia («Stiamo ancora facendo le ultime valutazioni», aveva detto prima dell'inizio del vertice il ministro Pier Carlo Padoan), forse mossa dal desiderio di vendetta verso Madrid, colpevole di non aver appoggiato Milano come sede dell'Agenzia del farmaco. Nè, a sovvertire un risultato scontato, le perplessità manifestate sia dall'Europarlamento, sia dalla Bce. Lane, che punterà ora a sostituire il capoeconomista Peter Praet, aveva un doppio vantaggio: parla la stessa lingua dei banchieri centrali e gode della stima di Mario Draghi, che potrebbe metterlo a capo della task force incaricata di occuparsi del dossier Eurobond. Eppure non è bastato per aver la meglio sulla duplice leva usata da Germania e Francia: la Spagna è sottorappresentata nelle istituzioni europee; non vi è nulla di male se un politico fa le valigie per traslocare nella stanza dei bottoni della banca centrale.
Ma dietro alle ragioni ufficiali si nasconde altro. E proprio la decisione dell'Irlanda di non arrivare al voto potrebbe essere legata alla volontà di non portare subito in superficie lo scontro tra l'anima della Bce di oggi e di quella che si va delineando. De Guindos, oltre a essere transitato alla Lehman Brothers dal 2006 al 2008, anno in cui si verificò il crac della banca d'affari Usa, è stato anche l'uomo che ha negoziato il salvataggio delle banche spagnole e che, avendolo poi ottenuto, ha finito per avallare tutti i dossier di matrice tedesca. A cominciare da quello dell'austerity. Risulta dunque difficile immaginare il ministro spagnolo nel ruolo di colomba all'interno del board dell'istituto. Il rischio di uno spostamento del baricentro della Bce verso posizioni di rigidità c'è tutto: soprattutto se de Guindos verrà fatto passare come un uomo del Sud spianando di fatto la strada verso la presidenza a Jens Weidmann, attuale capo della Bundesbank, una volta giunto a scadenza il mandato di Draghi nell'autunno del 2019. È vero: questa regola geografica non è scritta in nessun manuale, tanto che ora i due ruoli di vertice della Bce sono ricoperti da esponenti del Club Med (Draghi e Vitor Costancio). Ma va anche ricordato che SuperMario era visto come molto vicino alle posizioni tedesche. Almeno all'inizio, quando l'ex governatore di Bankitalia veniva immortalato dalla Bild con tanto di elmo prussiano in testa. Poi, è stata tutt'altra storia.
In ogni caso, prima di capire chi sarà il
successore di Draghi bisognerà vedere quali equilibri usciranno dal voto europeo in primavera (nomina dei presidenti di Commissione, Consiglio e Parlamento), e quale sarà la composizione del governo tedesco di grande coalizione.
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