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Berlusconi: banche italiane solide No all’ipotesi di nazionalizzazione

RomaNessuna ipotesi di nazionalizzazione per le banche italiane. È molto netto Silvio Berlusconi nell’escludere una simile eventualità: «Da noi - spiega, durante la conferenza stampa a Roma insieme con il presidente francese Nicolas Sarkozy - la nazionalizzazione non è in alcun modo ipotizzabile perché il sistema bancario è molto solido: siamo un popolo di risparmiatori, e le nostre banche non hanno corso l’avventura dei titoli tossici». Anche Sarkozy sembra non gradire il ritorno alle banche pubbliche: «Io sarei molto cauto in proposito. Abbiamo già sperimentato il caso del Credit Lyonnais, che ha portato a scandali. Penso - aggiunge - che gli apporti di capitalizzazione siano preferibili». Né piace di più l’ipotesi della bad bank, che «non rassicura i mercati».
Italia e Francia, ricorda il presidente francese, già in ottobre presero l’impegno che «né un cittadino francese né un italiano sarebbero stati colpiti da fallimenti bancari: così è stato». Berlusconi ricorda che, attraverso i «Tremonti bond», il governo a messo a disposizione «10-12 miliardi per incrementare la patrimonializzazione delle banche, ma finora nessun istituto ha sentito il bisogno di utilizzare queste somme».
La nazionalizzazione delle banche in Italia viene giudicata «irrealistica» anche dal presidente della Consob Lamberto Cardia. «Non è un’opzione concreta - commenta - : al momento lo strumento giusto sono i Tremonti bond». Un giudizio positivo sul nostro sistema bancario viene anche dalla Commissione europea. «Il basso indebitamento del settore privato e la relativa solidità del sistema finanziario hanno finora fatto da scudo alla crisi dei mercati», si legge nel documento con cui Bruxelles dà il via libera al programma di stabilità italiano. La Commissione approva le misure del governo per mantenere «adeguati livelli di liquidità e capitalizzazione delle banche», compresi i Tremonti bond; e invita le banche italiane a utilizzarli.
Ben diverso lo scenario americano. Il Tesoro Usa si prepara a soccorrere gli istituti di credito nei guai, con l’ingresso diretto nell’azionariato. Non si tratterebbe di una nazionalizzazione vera e propria, tuttavia la Casa Bianca è decisa a preservare ad ogni costo le istituzioni finanziarie di importanza sistemica. Dopo aver espresso piana fiducia nel segretario al Tesoro Tim Geithner, il presidente Obama ha parlato (in piena notte in Italia) al Congresso in seduta comune, non nascondendo le sfide che aspettano gli americani per la ripresa di un’economia che, dal dicembre 2007 ha perduto 3,6 milioni di posti di lavoro. La fiducia dei consumatori è scesa ai livelli del ’67, i prezzi delle case sono precipitati. Per Obama, crisi economica e crisi finanziaria devono essere affrontate insieme per rimettere in rotta il Paese e «bisogna mettere fine a questa era di profonda irresponsabilità che ha portato l’America al punto in cui è oggi». Ma Obama non vuole nazionalizzare le banche, assicura l’ex presidente Bill Clinton.
Poche ore prima dell’intervento di Obama, davanti alla commissione bancaria, il presidente della Federal reserve Ben Bernanke ha detto che le autorità americane prenderanno il controllo delle banche, solo nel momento in cui le loro perdite diventassero «straordinarie».

Se, «e solo se», i mercati e le banche si stabilizzeranno, il 2010 potrebbe essere «l’anno della ripresa». Certo sulle previsioni - ammette - grava una «forte incertezza con i rischi al ribasso che pesano più di quelli al rialzo».

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