Economia

La bomba dopo l'estate che può metterci in ginocchio

Il 60% delle imprese italiane rischia la chiusura. A settembre è atteso un boom della disoccupazione. E da Bruxelles piovono solamente grane

La bomba dopo l'estate che può metterci in ginocchio

La cassa integrazione che dopo mesi ancora non arriva. Le tasse che non accennano a diminuire. La produzione industriale collassata. Se è vero che tre indizi fanno una prova, allora c’è da essere davvero preoccupati su ciò che ci aspetta nel prossimo futuro. Magari dopo l’estate. Da settimane si parla di un detonatore che scandisce i minuti, le ore, i giorni. È una bomba a orologeria che presto, secondo molti, esploderà. È la preoccupazione ricorrente che non fa dormire sonni tranquilli al governo giallorosso. La "bomba d’autunno", così la definiscono, pende come una spada di Damocle sulle nostre teste. E al centro c’è l’occupazione. Dall’inizio del 2020 il governo stima una perdita di posti di lavoro pari a circa 500mila unità.

I dati sulla Cig spaventano l’esecutivo. Ad aprile e maggio, nonostante le riaperture dopo il lockdown, le ore autorizzate dei nuovi ammortizzatori sono state ben 1,7 miliardi. Lo scrive il Sole 24 Ore. Una misura che ha salvato circa 5 milioni di posti di lavoro. Certo. Ma che non basta. L’occupazione, infatti, è ferma al palo. Proprio per questo i tecnici del Mef e del ministero del Lavoro stanno pensando a una doppia mossa: favorire la ripresa delle assunzioni a tempo indeterminato, attraverso un nuovo meccanismo di incentivi fiscali, della durata di 6 mesi. Una sorta di nuovo bonus che è, tuttavia, ancora in alto mare. Il governo chiuso nel reality di Villa Pamphili si dice pronto a disinnescare l’ordigno. Ma il tempo passa e le sue azioni sono tutt’altro che concrete. Chiacchiere affidate al vento.

Il secondo intervento passa invece per l’ulteriore semplificazione della normativa sui contratti a tempo determinato. L’idea è quella di allungare almeno fino a dicembre il congelamento delle causali previste dal decreto Dignità su proroghe e rinnovi. Al momento, lo stop alle causali è in vigore fino a fine agosto. Ma anche in questo caso è guerra di bande tra le forze di maggioranza. Favorevoli a questa soluzione sono Pd e Italia Viva. Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, non è del tutto convinta.

All’orizzonte c’è, insomma, un panorama che fa sobbalzare anche i cuori più resistenti. La salvaguardia dei posti di lavoro passerebbe anche per il rifinanziamento e l’allungamento dei sussidi emergenziali (Cig, assegno ordinario, Cig in deroga) introdotti dal decreto Marzo e già prorogati e rifinanziati dal dl Rilancio, investendo già una dote complessiva intorno ai 20 miliardi.

Ma la cassa costa e parecchio. Ogni mese in più di Cig pesa di circa 6 miliardi di euro sul nostro bilancio. E il nostro debito, già pesante, rischia di non reggere l’urto di nuove misure assistenziali. C’è poi il nodo stop ai licenziamenti. Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, accanto al rinnovo della Cig d’emergenza, spinge per prorogare, il divieto di licenziamenti economici. Oggi lo stop ai licenziamenti individuali e collettivi è operativo fino al 17 agosto. La mossa della Catalfo è portarlo a ridosso della fine dell’anno.

La situazione economica del nostro Paese è complessa. Oltre il 60% delle imprese sono a rischio chiusura. E Bruxelles non ci appare d’aiuto. Certo, c’è il Recovery plan, il fondo Sure, la Bei, la Bce. Ma di concreto non arrivano aiuti degni di questo nome. Anzi, da lì pioveranno nuove regole che peseranno sui portafogli di privati cittadini e aziende. Le nuove norme interessano le banche. E prevedono in sostanza che, dal primo gennaio 2021, chi non salderà entro 90 giorni un arretrato di pagamento, anche modesto, sarà segnalato alla centrale dei rischi, con la conseguenza che i creditori saranno molto meno propensi a concedere finanziamenti.

Quelli di cui stiamo parlando sono alcuni regolamenti Ue. Misure che sembrano state create ad hoc per favorire il collasso delle aziende italiane e del nostro sistema economico. Fino a oggi le banche classificavano in "default" quelle aziende che, per oltre 90 giorni consecutivi, non pagavano cifre "rilevanti". Le nuove regole ora quantificano il concetto di rilevanza, fissando la soglia oltre la quale l’impresa debba essere obbligatoriamente classificata in fallimento.

Tradotto: l’Ue si mostra come il problema e non come la soluzione.

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