Economia

In Borsa malgrado il virus. "Imprese italiane avanti solo se hanno coraggio"

L'ad di Gvs, prima Ipo del 2020: "Se il successo viene dalle strategie, le crisi non fanno paura"

In Borsa malgrado il virus. "Imprese italiane avanti solo se hanno coraggio"

Gvs è stata l'unica ipo italiana del 2020 sul listino principale del 2020. Operazione fortemente voluta da Massimo Scagliarini, ad del gruppo bolognese, imprenditore della terza generazione.

«Gvs nasce nel 1979, quando mio nonno ha sviluppato un'idea nel medicale. Era il periodo in cui nasceva qui vicino, a Mirandola, il polo del medicale e ci siamo trovati al posto giusto nel momento giusto. Abbiamo iniziato a fornire filtri per le trasfusioni e questo ha formato il carattere dell'azienda: operare in un settore che richiede elevatissimi standard di sicurezza, dove il prodotto non può mai essere difettoso perché metterebbe a rischio vite umane. Questo è diventato il nostro Dna».

E oggi cosa fa Gvs?

«Produce e vende soluzioni filtranti operando in tre comparti: Healthcare and lifescience, vale a dire il medicale ospedaliero; Energy and mobility, cioè l'automotive, ma nella nicchia della sicurezza, come per esempio nelle centraline abs; Health and safety, cioè le maschere professionali e medicali o i filtri per grandi ambienti. Pochi sanno che l'areazione dell'aeroporto di Heathrow è fatta da Gvs. Questa divisione è oggi molto nota per le mascherine FFp3».

Cosa vi ha portato in Borsa proprio nell'anno del Covid?

«La Borsa è stata la conferma delle strategie scelte fin dalla nascita, con diversificazione geografica, per linee di prodotto e una distribuzione del business inattaccabile, che aveva già tenuto con la crisi Lehman. Il progetto è nato a settembre 2019. Quando poi a gennaio mi hanno chiamato dal Giappone per dirmi che gli scaffali delle mascherine erano vuoti, ho capito che c'era qualcosa di enorme in arrivo. La conferma è arrivata quando si è saputo che il governo cinese non avrebbe riaperto le attività dopo il loro capodanno. Da quel momento abbiamo iniziato a produrre maschere in tutti i nostri stabilimenti, diventando fornitori strategici e garantendo la continuità degli impianti. A quel punto, messe in sicurezza persone e produzione, abbiamo deciso di andare avanti. L'unico ritardo è stato dovuto all'organizzazione del road show virtuale: un evento senza precedenti e che abbiamo sperimentato per primi in Europa».

Avete collocato il 40% di Gvs a una capitalizzazione totale di 1,2 miliardi, oggi siete a quota 2,8: avete sbagliato valutazione o è la liquidità che stravolge i multipli?

«La formazione del prezzo è stato un processo molto lungo, iniziato già a luglio, parlando con fondi di investimento, e finito alla vigilia dell'Ipo, discutendo fino all'ultimo con tutti. Avevo in testa un'idea chiara di quanto il mercato fosse disposto a pagare tanto che quando è stato chiesto un ultimo sconto non lo abbiamo accettato. Poi è chiaro che ci sono quelli che comprano subito e quelli che invece arrivano solo dopo, ci sono tanti fattori che contribuiscono a posizionare il titolo dove è oggi. Questo è quello che è successo».

Quindi nessun rammarico per non aver chiesto di più.

«No perché se offri al mercato un buon prezzo, che poi sale nel modo giusto, anche il valore dell'azienda cresce. La cosa più importante è il potenziale che hai davanti».

Gvs è cresciuta molto nel decennio in cui il Pil del Paese soffriva. È solo questione di prodotto o crede che gli imprenditori italiani potrebbero essere più coraggiosi?

«Sicuramente per fare impresa del coraggio bisogna averlo, nel dna. Tutti i giorni servono decisioni. Ci sono due profili: cacciatore e pastore. Il bravo imprenditore li ha entrambi, quando e necessario è cacciatore, creativo, rischia facilmente, si adatta velocemente. Il 2020 era l'anno dei cacciatori. Poi bisogna anche capire quando fare il pastore, consolidare, conoscere bene il proprio business, sentirlo e saperlo adattare alle onde del mercato in modo armonioso, senza mai andargli contro».

Gvs è in Confindustria? Bonomi è stato ipercritico con il governo: quali punti di critica condivide?

«Siamo in Confindustria ma confesso che non seguo molto la politica, se non per macro trend. Abbiamo 14 stabilimenti e 20 uffici in tanti Paesi, è difficile andare nel dettaglio. Non ho approfondito a sufficienza per dare giudizi. Posso solo condividere che l'attuale governo, oggi in crisi, non abbia comunicato molto di programmi futuri».

Viaggiando molto e ovunque come le sembra la gestione italiana della pandemia?

«Non dò 10 ma nemmeno 5. Ci sono paesi che hanno fatto meglio e altri peggio. Il voto è comunque sufficiente».

Avete un grande impianto in Inghilterra: Brexit è un problema piccolo o grande?

«Brexit è una grande opportunità. Siamo un produttore locale e questo ci colloca davanti a tutti gli altri quando vendiamo il nostro prodotto. Certo, in questo periodo stiamo vivendo una fase molto complessa. Ma vedo più i lati positivi».

Cosa pensa dei vaccini e di quello che sta accadendo?

«Sulla validità dei vaccini non ho dubbi. E so che i processi di validazione sono lenti e pesanti, devono essere sicuri. Ma sarebbe estremamente superficiale, da parte mia, dire di più. Da fuori non si può. So cosa vuol dire entrare in un'azienda e capire i meccanismi».

Quando ne usciamo?

«Vedo tempi lunghi. Tutto il 2021 lo porteremo avanti così, con tamponi, regole, ondate. Il 2022 potrà essere l'anno di assestamento della nuova normalità.

E dal 2023 la stabilità».

Commenti