Adesso il nuovo bersaglio, il birillo da tirare giù, è l’Italia. Dopo i 100 miliardi di euro messi sul piatto dall’Eurogruppo per puntellare il traballante e intossicato sistema bancario iberico, il mirino dei mercati si è subito spostato su di noi. Il terrificante ribasso del 2,8% accusato ieri da Piazza Affari, con l’inevitabile corollario di nove miliardi di capitalizzazione svaporati e con sospensioni per eccesso di ribasso a raffica, non ne sarebbe prova inconfutabile. Ma il crollo isolato, avvenuto mentre gli altri listini limitavano i danni a poche frazioni o chiudevano in rialzo, è proprio il segno inequivocabile di un accanimento selettivo, chirurgico. Con un risvolto perfino grottesco, dato dall’esuberante guadagno in apertura mostrato sia dall’indice (+1,9%), sia dai titoli bancari. Proprio quelli che a fine seduta sono capitolati sotto un diluvio di vendite (Unicredit -8,8%, Banco Popolare -5,92%, Intesa Sanpaolo -5,92% e Mediobanca -5,64%), e non certo per colpa di un report poco lusinghiero di Barclays. La faccenda è invece un po’ più complessa, e riguarda la sopravvivenza stessa della moneta unica.
Nelle ultime settimane si è infatti più volte parlato di un piano per mettere l’euro in stato di sicurezza. Funzionari dell’Unione europea hanno discusso della possibilità di limitare l’entità dei prelievi dagli sportelli automatici delle banche, di applicare controlli alle frontiere e di introdurre controlli sui capitali nella zona dell’euro nel caso di un’eventuale uscita della Grecia dalla moneta unica. Nessuna decisione è stata presa, hanno sottolineato i funzionari, che peraltro non si aspettano che Atene abbandoni l’euro.
Der Spiegel ha rivelato ieri che Commissione Ue, Unione europea, Eurogruppo, e Bce sono al lavoro per mettere a punto un progetto che vieterebbe agli Stati membri di contrarre nuovi debiti. In pratica, la spesa pubblica verrebbe finanziata unicamente col denaro già coperto dalle entrate. In caso di esigenze tali da impedire il rispetto di questa regola, i governi dovranno far conoscere le loro necessità al gruppo dei ministri delle Finanze che deciderà se le richieste siano o meno giustificate. Solo in seguito, potranno essere emessi degli Eurobond per finanziare questi nuovi debiti. Novità anche per l’Eurogruppo: sarà diretto da un presidente e sottoposto al controllo di un nuovo organismo composto da rappresentanti dei diversi parlamenti nazionali. Lo Spiegel precisa che questo piano sarà valido solo per i nuovi debiti contratti dai Paesi europei e non per i vecchi. Difficile valutare oggi l’impatto di questa rivoluzione su un Paese come l’Italia, azzoppato dalla recessione e con prospettive sia sul lato del debito, sia su quelle della crescita poco incoraggianti. «L’Italia è a rischio», ha scritto ieri il Wall Street Journal , che sembra trasmettere il punto di vista e le inquietudini delle élite finanziarie Usa. «Non è escluso che l’Italia lo sia, ma la nostra situazione è ben diversa da tutte le altre», ha replicato il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera.
Anche tra gli analisti europei è però condiviso il parere secondo cui il timore di uno scorrimento del piano di salvataggio da Madrid a Roma è correlato al declinante indice di gradimento del governo Monti. I mercati, dicono, hanno puntato molto sul Professore. Individuato come il solo in grado di traghettare l’Italia lontano dalla crisi attraverso un percorso fatto di riforme strutturali. La perdita di consenso subita tra i partiti, ma anche tra le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, viene letta come un segnale di instabilità. Peggio ancora se la mancanza di solidità dell’esecutivo dovesse portare il Paese alle elezioni anticipate. Dopo il disastro borsistico d’inizio settimana, i rendimenti dei Btp a 10 anni sono tornati sopra il 6%, mentre lo spread con il Bund tedesco si è involato fino a 473 punti: inutile dire che si tratta di livelli da allarme. È evidente che tutto viene amplificato dalla complicatissima situazione dell’euro zona.
Agli interrogativi sulla Grexit, si aggiungono quelli che circondano la Spagna. Due, al momento, i fatti certi. Il primo è che Madrid è stata di fatto commissariata: oltre alla troika Ue-Bce-Fmi, sugli aiuti alle banche vigilerà anche l’Eba, l’autorità bancaria europea. Il secondo è che il salvataggio avrà ripercussioni sul debito iberico. Resta invece ancora da stabilire quanta parte del prestito verrà richiesta dal governo Rajoy (si parla di 50-60 miliardi). Per saperlo, si dovrà aspettare fino al 21 giugno, quando le società di consulenze incaricate indicheranno le necessità finanziarie degli istituti.
Ancora da chiarire, infine, è quale meccanismo verrà attivato per il prestito. In teoria, lo strumento dovrebbe essere fondo salva-Stati Efsf (usato per Irlanda, Portogallo e Grecia), ma i governi - incluso quello italiano- preferiscono la soluzione Esm.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.