La Borsa vuole la fine delle Popolari

Bpm e Ubi volano in Piazza Affari in vista della riforma Renzi. Ma le mutue studiano la contromossa

La Borsa ha fiutato l'affare: la riforma manu militari che il governo di Matteo Renzi potrebbe varare alle 15 di questo pomeriggio, cancellando il voto capitario (forse per decreto legge), promette di trasformare in public company una mezza dozzina di banche popolari quotate. Costringendole una volta diventate spa ad aggregarsi e, quindi, a salvare i due gruppi bocciati agli stress test della Bce: Carige e Monte Paschi, dove lo Stato è esposto tramite i Monti Bond per un miliardo.

In Piazza Affari, Bipiemme ha così chiuso in rialzo del 14,89%, seguita da Ubi Banca (+9,68%), Popolare Emilia Romagna (+8,51%) e Banco Popolare (+8,33%); quindi, Credito Valtellinese (+9,6%) e Popolare Sondrio (+8%). Gli analisti hanno ricominciato a fare i conti delle possibili fusioni confermando, malgrado le smentite dei vertici, Ubi e Bpm nel ruolo di predatrici rispettivamente di Mps e Carige. Barclays ha aggiunto di considerare le quotazioni del settore a sconto del 50 per cento.

I signori del credito cooperativo, tra cui ieri - appena sotto la consegna del silenzio - si respirava sorpresa e livore, affilano tuttavia le armi per la controffensiva: Ettore Caselli che presiede Assopopolari, la lobby delle mutue, ha detto di essere «perplesso». Il banchiere, da ieri a Roma per saggiare il terreno istituzionale, ha ricordato come l'associazione sia al lavoro su un'autoriforma. Questa, ha sottolineato, «si farebbe carico di elementi di novità da cui non si può prescindere, ma al tempo stesso sarebbe ispirata a un miglior equilibrio degli interessi in gioco» e della «continuità» dei «valori» mutualistici. Il think tank è formato da Angelo Tantazzi, Piergaetano Marchetti e Alberto Quadrio Curzio. Insomma, Renzi deve rinunciare al blitz e soprattutto a usare l'arma non convenzionale del decreto legge. Un punto, quest'ultimo, su cui alcuni banchieri hanno lasciato trapelare dubbi procedurali visto che non si capisce quale sia l'«urgenza» della riforma: le banche messe in ginocchio da Francoforte sono Mps e Carige, entrambe «società per azioni». E va detto che finora ogni riforma del settore si è arenata in Parlamento: «Non appare comprensibile né accettabile l'idea di intervenire per decreto sulle banche popolari», ha premesso Daniele Capezzone, di Forza Italia.

Gli stress test saranno sul tavolo del comitato esecutivo che l'Abi ha convocato alle 10 di questa mattina alla presenza del governatore Ignazio Visco. Un'occasione perfetta per un confronto corale con la Vigilanza, da cui era partita la prima azione di forza per sanare le storture nella governance della vecchia Bipiemme. A spingere per la riforma delle coop è ora la stessa Bce di Mario Draghi.

Stando alle bozze, il provvedimento del governo vorrebbe eliminare l'articolo 30 del Testo unico bancario, cancellando con un colpo di spugna il principio cardine del voto capitario (una testa, un voto) e i limiti in vigore sul possesso azionario. In sostanza il rischio è che fondi e istituzionali prendano il timone di istituti che sono invece il terreno storico d'elezione dei piccoli soci, spesso anche dipendenti. E poi rivenderli, magari ridotti in pezzi.

Renzi, ieri, ha confermato che andrà sino in fondo, ma è possibile che ripieghi su un più diplomatico disegno di legge: la riforma

riguarderebbe comunque tutti gli istituti con almeno 5 miliardi di asset. L'Investment compact dovrebbe poi contenere norme per far aggregare le Bcc e dare un ultimatum alle Fondazioni sulle poltrone incrociate con le banche.

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