Questa mattina Andrea Bonomi spegne la prima candelina da presidente della Banca Popolare di Milano. I conti sono sulla via del risanamento e la vecchia cooperativa dominata dai dipendenti-soci, che il 22 ottobre 2011 gli aveva consegnato il potere, ridotta al silenzio. L'ad Piero Montani ha da poco riassunto in una «Nota Informativa» il lavoro svolto in 12 mesi ai consigli di sorveglianza e gestione: a giugno il risultato di gestione è salito del 48% rispetto a un anno prima e i costi si sono contratti del 9%, a fronte di un Core Tier One passato dal 5,68% al 9% (dopo 800 milioni di ricapitalizzazione) e di una liquidità di 4 miliardi.
Le sei pagine del documento ripercorrono gli interventi sulla governance, i cambiamenti nella struttura (con la sostituzione dei responsabili delle funzioni Mercato, Personale, Organizzazione e Legale), per poi soffermarsi sulla macchina industriale: gli avviamenti sono tutti spesati, la raccolta diretta si è portata a 37,2 miliardi (35,1 a dicembre 2011) con la componente corporate più che dimezzata in 18 mesi sotto quota un miliardo. Ridotti del 12,2% (per un valore di 1,6 miliardi) gli affidamenti al «comparto immobiliare allargato», quello dove figuravano i prestiti ai grandi immobiliaristi. In parallelo sono migliorate le coperture sui crediti .
Davanti a Bonomi (nella foto) rimane però l'ostacolo del piano industriale. Con i sindacati per nulla disposti ad accettare come un «obbligo» i 700 esuberi previsti per centrare l'obiettivo del taglio dei costi. O, meglio, le forze sociali chiedono che sia riscritto l'articolo 4 dell'ultima proposta di «Accordo quadro per la gestione delle ricadute sul personale» elaborata da Bpm e anticipata ieri dal Giornale. Prendendo come perno non più il numero degli espulsi ma la riduzione di 70 milioni sul costo del lavoro. La questione è sostanziale perché Bpm può ora contare solo su 92 risorse immediatamente pensionabili e 398 «esodabili» con il Fondo esuberi. Troppo pochi per la banca che con il direttore delle risorse umane Gianni Rossi tiene fermo l'obiettivo finale e un pericolo per i sindacati che vedono il rischio che le espulsioni divengano di fatto obbligatorie. Bpm, nel caso non fosse raggiunto il quorum, potrebbe procedere con la risoluzione unilaterale dei contratti: la legge 223, che si tradurrebbe però nel licenziare il personale con minore anzianità aziendale. «L'accordo Bpm va fatto, ma deve essere politicamente in linea con quelli raggiunti in altri gruppi creditizi», sottolinea una autorevolissima fonte sindacale; altrimenti all'intero sistema potrebbe tornare la tentazione di rottamare 35mila addetti.
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