La Bpm vara la «legislatura» Giarda

La Bpm vara la «legislatura» Giarda

I sindacati nazionali consegnano la Banca Popolare di Milano a Piero Giarda, eletto presidente del consiglio di sorveglianza dai dipendenti-soci e dai pensionati di Piazza Meda, al termine di un'assemblea dal quorum impraticabile per l'avversario Piero Lonardi: le urne, presidiate dagli uomini della Consob, hanno assegnato all'ex ministro 3.961 preferenze, sulle 5.705 totali, ponendo così fine allo stallo conseguente alla crisi dell'«esecutivo Bonomi».
La «legislatura Giarda» dovrà comunque fare i conti, a norma di statuto, con Investindustrial per la decisiva composizione del consiglio di gestione e la scelta del nuovo capo azienda. Tanto che Giarda si è già visto costretto a correggere la linea della «piena discontinuità», che aveva difeso in campagna elettorale. Andrea Bonomi e Davide Croff lasciano, ha ribadito ieri il professore-banchiere, senza però più escludere di individuare il presidente o l'ad tra gli altri consiglieri uscenti: «È una domanda complicata...», ha ammesso Giarda, augurandosi di trovare una soluzione «entro il 12 gennaio. E che Dio me la mandi buona». Il parterre considera quindi in ascesa per la presidenza del Cdg le quotazioni di Dante Razzano, storico «fiduciario» di Bonomi; mentre altri guardano ancora a un possibile coinvolgimento di Carlo Salvatori.
I negoziati entreranno nel vivo da domani, così da far combaciare, sotto l'occhio vigile di Bankitalia, le aspettative dei «grandi elettori» di Giarda con quelle di Investindustrial, che vuole «garanzie» per il proprio 6,7% di Bpm, anche in vista dell'aumento di capitale da 500 milioni ritenuto indispensabile da Palazzo Koch. Il termine ultimo per lanciare la ricapitalizzazione è stato prorogato da aprile a luglio, proprio per dar modo al nuovo amministratore delegato di presentare il piano industriale. Giarda «spera» invece che le banche del consorzio di garanzia rinuncino alla richiesta di un cambio di governance che esporrebbe la banca a «lungaggini senza fine». Lo status cooperativo e l'indipendenza di Bpm non sono in discussione, ha ribadito il neopresidente, a patto però che Bpm diventi una banca «normale» e «solida». Allo stesso modo Giarda (cui vanno 11 posti dei 19 del Cds) vorrebbe - come auspicato dalla stessa Bankitalia - tagliare le seggiole intorno al tavolo della sorveglianza e aumentare quelle della gestione. Ai soci esterni di Lonardi (che raggiungono comunque il risultato record di quattro rappresentanti) non è quindi bastata, per espugnare il fortino Bpm, l'alleanza con Ezio Maria Simonelli, forse l'unico che poteva fare breccia, grazie al meccanismo delle deleghe, nella base della cooperativa contro il progetto unitario dei sindacati. Quella di Giarda «è la vittoria del cambiamento rispetto all'improvvisazione» e agli «interessi di bottega», ha tirato la stoccata il leader della Fabi, Lando Maria Sileoni.

Molti sono però certi che, dopo l'invito alla trasformazione in Spa avanzato da Bankitalia all'intera categoria e la fuga in avanti di Bonomi sull'introduzione del voto a distanza, su Bpm si sia giocata una partita molto più ampia. Quella condotta dell'intera lobby delle Popolari per cui era divenuto prioritario «tamponare» il caso Milano, per darsi l'agio di migliorare la governance, salvando la natura cooperativa.

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