Per il titolo Brembo una boccata d'ossigeno (+2% a 8,48 euro) è arrivata in chiusura di settimana scorsa. Ma è dal 10 maggio 2017, quando le azioni valevano 15,10 euro, che la quotazione di Brembo in Piazza Affari ha iniziato una inesorabile discesa, fino a quasi dimezzarsi. Dopo anni di rialzi, la cavalcata di Brembo, multinazionale gioiello, si è fermata nel 2017. Un caso interessante perché, questo andamento rappresenta lo specchio della situazione complessa in cui si dibatte il settore dell'automotive. Il gruppo guidato da Alberto Bombassei, che dallo scorso luglio si avvale del contributo dell'ad Daniele Schillaci, per anni braccio destro dell'ex numero uno di Nissan, Carlos Ghosn, non può che risentire della frenata di mercati come l'Europa e soprattutto la Cina, oltre che della guerra commerciale tra Stati Uniti e Pechino.
Gli analisti, inoltre, attendono che da Brembo arrivi l'annuncio di un'acquisizione importante, come più volte paventato dai vertici. Ma i tempi non sembrano essere ancora maturi. «Il nostro focus - precisa il vicepresidente esecutivo Matteo Tiraboschi - è quello di gestire bene il core business. È vero che la crescita non organica è importante per il futuro dell'azienda, ma dobbiamo individuare la realtà giusta, dotata di un grande contenuto innovativo e tecnologico, e la cosa non è semplice. Continuiamo a guardare diversi soggetti a livello globale, ma al momento nulla di concreto». Sulle attuali quotazioni del titolo, Tiraboschi afferma che il dimensionamento giusto «sul quale mi ritrovo, è quello registrato nel 2017, cioè circa 15 euro, ma dire adesso quando torneremo a quei livelli non è possibile, non dipende da noi».
Sulla stessa linea d'onda sono gli analisti. «Brembo - spiegano da una sala operativa - è stato considerato sempre un titolo best in class che, però, è risultato impattato da una serie di eventi: il rallentamento del mercati automobilistici europeo e cinese, nonché l'andamento flat di quello Usa. Scende l'auto e altrettanto succede per la componentistica. Se il settore tratta in media 7-8 volte gli utili e non a 10-13 volte, è logico che anche la multinazionale bergamasca ne risenta. A incidere sul titolo sono stati anche i profit warning e le revisioni degli obiettivi. E un colpo decisivo è arrivato dalla guerra dei dazi».
Brembo, in proposito, è molto legata a Daimler e Bmw, che producono anche negli Usa e da lì esportano i loro veicoli proprio in Cina. «È giusto ricordare - interviene Tiraboschi - che mentre il mercato è sceso del 6,7%, il nostro calo si è fermato allo 0,7%. Siamo molto sereni sull'andamento dell'azienda: in agosto abbiamo acquistato circa 1 milione di nostre azioni, ritenendo sano tenerle in portafoglio».
Brembo guarda al futuro, e l'inaugurazione, la scorsa primavera, della nuova fabbrica in Cina, va in questa direzione. A Nanchino nasceranno le «pinze freno 4.0», quelle che equipaggeranno i veicoli elettrici e a guida autonoma. «Il mercato dell'auto elettrica - puntualizza un analista - ha una penetrazione ancora ridotta, meno del 5% nel mondo. Ma è fondamentale esserci, visti gli sviluppi attesi nei prossimi 5-7 anni». E proprio alla luce di queste prospettive calza a pennello la figura di Schillaci, grande esperto in mobilità elettrica e guida autonoma, ambiti che vedono tuttora Nissan leader; oltre che profondo conoscitore di tutto il Far East. «L'arrivo di questo manager è da salutare favorevolmente - commenta l'analista -; si va infatti a collocare in un team di vertice già molto solido». «Il nuovo ad - aggiunge Tiraboschi - ci aiuterà a guardare oltre il freno; la sua esperienza asiatica e globale nell'automotive ci arricchisce di una conoscenza che supera il solo impianto frenante».
Per il 2019, Brembo si aspetta una leggera contrazione del business a causa della situazione dei mercati, ma con una profittabilità che risulterà in linea con il dato percentuale registrato nel 2018.
«Dopo 10 anni di continua crescita - conclude Tiraboschi - le azioni stanno scontando le tensioni politiche globali e il corso del nostro mercato di riferimento. Ciò non ci impedisce di continuare a investire in tecnologie produttive, ricerca e sviluppo».
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