Inizio di settimana difficile da decifrare, con i mercati ancora condizionati dalla caduta dei prezzi del petrolio e dall'ormai imminente riunione della Bce. Visto che la partita si gioca su più tavoli, e con molte variabili non ponderabili, capita che lo scivolone di ieri, l'unico in Europa, di Piazza Affari (-1,64%) e dei titoli bancari in particolare, venga attribuito al timore che giovedì prossimo Mario Draghi non tiri fuori dal cilindro l'ordine di acquistare titoli di Stato. Al contrario, c'è chi ha messo in relazione il calo dello spread Btp-Bund sotto i 130 punti (minimo dall'aprile 2011) con il fatto che l'Eurotower userà finalmente il bazooka.
Insomma, di sicuro non c'è nulla. La Russia, tra le principali vittime del crollo del greggio, ha per esempio molte meno certezze rispetto a qualche mese fa. Il rischio recessione è ormai alto: Mosca ha tarato il budget 2015 sulla base di un petrolio a 105 dollari il barile, un livello a distanza siderale dagli attuali 70 del Brent, il benchmark di riferimento per i russi. Già indebolita dalle sanzioni inflitte da Usa ed Europa a causa della crisi con l'Ucraina, l'economia ha subìto nelle ultime settimane il micidiale contraccolpo della picchiata del rublo, legato a filo doppio all'andamento dell'oro nero: ieri la moneta ha perso un altro 8% sul dollaro (a 53,29 rubli) e sull'euro (a quota 66,50 rubli), allargando così il ribasso mensile al 26%.
Insomma, il piatto piange. E Vladimir Putin passa al contrattacco. Dopo il rifiuto della Bulgaria, sotto la pressione dell'Ue, di autorizzare il passaggio dei tubi sul suo territorio, il presidente russo annnucia che «il progetto del gasdotto South Stream è finito». Gazprom costruirà un nuovo oleodotto in Turchia, con una capacità di 63 miliardi di metri cubi. La Russia taglia quindi i ponti con l'Europa. E, intanto, punta a vendere in anticipo il 19,5% di Rosneft. Mosca, che manterrà il 50% più un'azione, ha fretta. Ma non per questo vuole rimetterci. Anzi: il prezzo delle azioni dovrà essere almeno pari a quello del 2006, quando il gruppo guidato da Igor Sechin aveva ceduto il suo 15% per 10,6 miliardi di dollari, ovvero a 7,55 dollari per azione. Altri tempi. Oggi i titoli galleggiano a circa 5 dollari, mentre Rosneft è appesantita da un debito monstre di 60 miliardi di dollari.
Alle condizioni prospettate dal Cremlino, non sarà dunque facile trovare qualcuno disposto a mettere le mani su un pacchetto inferiore al 20% sborsando una cifra ben superiore a un valore borsistico attuale che, peraltro, rischia ulteriori ribassi. Secondo alcuni analisti, infatti, la discesa dei prezzi del petrolio è ben lontana dalla conclusione: il barile potrebbe cadere fino a 40 dollari, esattamente il punto di pareggio per i produttori di shale oil.
Quale sia effettivamente il break even è però questione controversa: altri lo indicano a 70 dollari il barile. Se così fosse, le quotazioni di questi giorni del petrolio renderebbero già economicamente insostenibile l'estrazione del greggio di scisto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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