Carige, chi nicchia e chi no sul salvataggio "di sistema"

Mustier (Unicredit) apre la porta a un contributo equo Messina (Intesa) la chiude. Gli altri non si espongono

Carige, chi nicchia e chi no sul salvataggio "di sistema"

L'improvviso dietrofront di Blackrock su Carige non ha lasciato solo con il cerino in mano il governo, ma anche tutte le altre banche. Che se non verrà trovata una soluzione di mercato - gradita anche all'azionista di maggioranza Malacalza - potrebbero trovarsi costrette ad aprire un nuovo paracadute di sistema. Come? Lo Schema volontario del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi non può prendere la maggioranza di un istituto. L'alternativa potrebbe essere l'intervento diretto del Fondo «classico», cioè quello obbligatorio: la recente sentenza del Tribunale Ue sul caso di Tercas ha infatti dato ragione all'Italia contro la Commissione Ue che finora lo aveva vietato considerandolo un aiuto di Stato. Ma la pronuncia può ancora essere impugnata davanti alla Corte di Giustizia.

Il punto è: le banche saranno disposte a versare l'ennesimo «obolo»? Non tutti i banchieri esprimono in maniera netta la propria posizione, anzi. Le reazioni ufficiali sono piene di «vedremo», «aspettiamo». Non è il caso di Unicredit e Intesa: la linea delle due big del credito è chiarissima ma, a sorpresa, contrapposta. A metterci la faccia è stato, fin da subito, l'ad del gruppo di Piazza Gae Aulenti, Jean Pierre Mustier: «se ci dovesse essere una necessità per il sistema bancario italiano, siamo pronti a dare il nostro supporto, con tutti gli altri operatori, su base equa e proporzionale», ha detto Mustier. Il banchiere più di sistema di tutti, ovvero l'ad di Intesa Sanpaolo Carlo Messina ha però già chiuso la porta: «Ciò che ha immaginato il fondo volontario con la sottoscrizione del bond da 320 milioni è già quello che può spesare il sistema nella vicenda Carige», ha detto ieri escludendo «totalmente» un ulteriore contributo economico di Intesa per il salvataggio. Quindi o arriva un privato o arriva lo Stato, perchè «l'azienda va fatta funzionare senza dover trovare soluzioni tampone». Un messaggio mandato, forse, anche a chi pensa di poter tirare per la giacchetta il gruppo. Magari gli stessi che hanno gridato al «regalo» quando Pop Vicenza e Veneto Banca sono state salvate da Messina al prezzo di 1 euro accompagnate da un assegno di 4,8 miliardi staccato dal Tesoro per salvaguardare i ratio patrimoniali di Intesa.

E gli altri banchieri? «Abbiamo deliberato la partecipazione al bond e siamo fermi lì, non possiamo esprimerci su cose che ancora non conosciamo», ha detto l'ad di Ubi, Victor Massiah. «Non sto guardando quel dossier», ha risposto l'ad di Bper, Alessandro Vandelli. Al BancoBpm, l'ad Giuseppe Castagna, si rimette alle decisione del Fitd: «Abbiamo partecipato al tentativo di sostegno. Facciamo lavorare i commissari e vedremo insieme agli altri istituti quello che sarà possibile e necessario fare». Altri tacciono ma va ricordato che dalla sottoscrizione proquota del bond Carige si sfilarono già al tempo il Banco Desio, facendo comunque la sua parte dall'esterno, e il Credem. Perchè i contributi di sistema pesano sui bilanci. Soprattutto se si tratta di banche in convalescenza come Mps che deve valutare qualsiasi intervento alla luce degli impegni presi con l'Europa. E la cui ripresa nel trimestre è stata zavorrata anche da 61 milioni di contributi al Fondo di risoluzione.

Senza cavaliere bianco e senza paracadute di sistema resterà solo la ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato. A Palazzo Chigi attendono che il supervisory board della Bce riunito oggi a Lisbona fissi una nuova scadenza per trovare una soluzione, sperando che sia dopo il voto del 26.

Ieri da Roma si è levata la voce del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti: «Non basta l'intervento del governo ma serve un intervento europeo. Chi sta gestendo la questione in Italia, il Mef e Bankitalia, lo sta facendo nei modi dovuti».

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