Il caso Telecom imbarazza i «signori» dei fondi

L'addio di Domenico Siniscalco ad Assogestioni per il caso Telecom imbarazza l'industria dei fondi e il mondo bancario che la controlla. Nel palazzo dell'associazione che cura la lobby del risparmio gestito nessuno ha infatti voluto replicare alla sassata nei vetri lanciata dall'ad di Azimut, Pietro Giuliani, che ha chiesto ai Signori dei fondi di rinunciare alle poltrone che occupano nei consigli delle società quotate.
Neppure una sillaba di risposta. Né dai vertici di Assogestioni, né dal suo «Comitato dei gestori e liste di minoranza», l'organo che svolge materialmente il lavoro sulle liste contestato da Giuliani. Fatta eccezione per una mezza disponibilità a discutere l'argomento quando le acque saranno tranquille: Assogestioni sta infatti ultimando la rosa di candidati proprio per l'assise Telecom del 20 dicembre, chiamata a votare la revoca del board chiesta da Marco Fossati in contrapposizione a Telefonica (il termine per il deposito è lunedì).
Il Giornale ha allora deciso di comportarsi come si usa nel mondo aglosassone e raccontare la difficoltà a trovare una Sgr pronta a uscire allo scoperto insieme ad Azimut dopo che Siniscalco ha lasciato l'associazione per evitare la trappola dei doppi incarichi.
Questa volta il silenzio di Assogestioni finisce infatti per amplificare il rumore del colpo inferto da Giuliani, che non aveva avuto remore a rimarcare come buona parte degli operatori italiani obbediscano a logiche «da pollaio». In una Piazza Affari dove «tutti sanno quello che fa il vicino e si muovono in gruppo» per evitare errori isolati. Non quello che ci si aspetterebbe da un gestore attivo e retribuito, perché per seguire il branco basta acquistare un Etf.
A mettere a nudo i problemi dei fondi ci pensa ogni anno l'ufficio studi di Mediobanca, mostrandone l'impietoso confronto in termini di performance anche rispetto ai Btp. Al di là dei numeri - dove è comunque doveroso distinguere tra i gruppi che producono valore (reti di promotori in primis) e chi invece non lo fa - quello che spiazza è il silenzio osservato da Assogestioni davanti alla proposta di un suo socio: Azimut, per inciso, conta oltre 22 miliardi di patrimonio complessivo. Non proprio briciole. Le associazioni, come insegnano Confindustria e Abi, sono per loro natura «multiformi», ma ci sono occasioni in cui occorre prendere una posizione, qualsiasi essa sia. Diversamente i «no comment» di rito lasciano il sapore di un'enclave che attende passi la buriana, per non affrontare il problema. Un po' come farebbe un bambino che si nasconde dietro i tendoni della sala con il cuore gonfio del rimbrotto materno. Non abbiamo avuto fortuna, neppure con alcuni big del settore dei fondi cui abbiamo chiesto la loro posizione: Eurizon (controllata da Intesa Sanpaolo), Pioneer (che fa parte di Unicredit) e il gruppo Generali. Tutti ci hanno fatto presente che non gradivano prendere parte alla discussione: Eurizon e Generali per non aprire una polemica, Pioneer perché il top mangement era a Londra.

In sostanza, per lo «stagno» di Piazza Affari è stato già troppo il sasso gettato da Giuliani. Che, tuttavia, ha espresso un concetto difficilmente contestabile: i fondi dovrebero occupare le loro energie solo per fare guadagnare i clienti, tenendosi alla larga dagli impegni «politici».

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