Economia

Cdp fa "sbarcare" Bono da Fincantieri

Focus sul caso Colombia, la Cassa indica Folgiero nuovo ad. Il bivio di Leonardo

Cdp fa "sbarcare" Bono da Fincantieri

La Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) ha scelto di operare una rivoluzione in Fincantieri. Dopo venti anni alla guida, Giuseppe Bono, dovrà passare il testimone a Pierroberto Folgiero, ad e dg di Maire Tecnimont dal 2013. Il cda del gruppo guidato dall'ad Dario Scannapieco, che detiene il 71,32% della holding cantieristica, ha scelto senza spaccature la linea della discontinuità, caldeggiata da Palazzo Chigi e Tesoro.

Fino all'ultimo minuto, secondo quanto indicato dai rumor, Bono avrebbe cercato di restare in sella o con una prorogatio da motivarsi con il conflitto ucraino o «traslocando» al ruolo di presidente con deleghe. A suo sfavore avrebbe pesato la vicenda delle trattative per la vendita di armamenti Leonardo-Fincantieri alla Colombia per 4 miliardi di dollari gestita da broker vicini all'ex premier D'Alema. L'audit interno, curato dal presidente della holding Giampiero Massolo (ieri Cdp ha designato al suo posto il generale Claudio Graziano), avrebbe tuttavia evidenziato il rispetto delle procedure. Probabilmente non ha giovato a Bono la «non appartenenza» a nessuna famiglia politica.

Circostanza confermata dal manager 78enne in un'intervista all'Espresso. «Ho sempre obbedito allo Stato, non ai partiti», ha dichiarato Bono rimarcando di aver lavorato con dieci governi diversi. «Se mi fossi consegnato a uno di loro, se avessi parteggiato per uno di loro, sarei in pensione da un pezzo. Mi sento e sono uno indipendente. Non appartengo a nessuno. Questa è una scelta anagrafica, non di politica industriale», ha aggiunto.

L'audit interno di Leonardo sul dossier Colombia, secondo fonti bene informate, sarebbe di tutt'altro tenore e una parte della maggioranza Draghi intenderebbe porre la questione sull'opportunità di una sostituzione degli attuali vertici rappresentati dal presidente Luciano Carta e dall'ad Alessandro Profumo, anche prima della scadenza naturale dell'assemblea 2023. Il centrodestra di governo potrebbe all'uopo esercitare una moral suasion sia sul Tesoro (titolare del 30,2% di Leonardo) per una revoca delle deleghe che sui manager sollecitandone le dimissioni. Il governo Draghi, tuttavia, è orientato a proseguire sulla linea fin qui intrapresa: rispetto del mercato, tutela dei risparmiatori e, soprattutto, difesa di società strategiche in un contesto bellico come quello attuale. Anche se le elezioni 2023 si svolgessero a fine legislatura (se si votasse in anticipo, deciderebbe il prossimo governo), Palazzo Chigi cercherebbe o di far slittare le assemblee in attesa dei nuovi inquilini o di concordare con loro le nomine che, oltre a Leonardo, comprendono Eni, Enel e Poste. Draghi, Franco e Scannapieco, inoltre, hanno sempre seguito un principio di «opportunità»: si cambia solo se necessario. Come dimostrato ieri dalla conferma di Roberto Tomasi alla guida di Aspi (che Cdp ha rilevato da Atlantia) e di Giuseppe Marino ad Ansaldo Energia.

In simili contesti, tuttavia, contano anche le dinamiche politiche. Secondo voci di Palazzo, il Partito democratico avrebbe intenzione di partecipare comunque al valzer delle nomine indipendentemente dall'esito delle urne e potrebbe spingere per anticipare le designazioni. In quest'ottica il Nazareno starebbe pensando alla costituzione di una superholding della Difesa che unisca Leonardo e Fincantieri.

Una conferma a Piazza Montegrappa di Alessandro Profumo, manager il cui profilo ben si attaglierebbe alla presidenza della nuova entità, sarebbe pertanto fondamentale alla realizzazione di questo disegno politico-finanziario.

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