Cina e Spagna mandano a picco le Borse

Cina e Spagna mandano a picco le Borse

Cina e Spagna sono due facce della duplice crisi attuale: quella dell’economia reale e quella finanziaria. Sono quindi bastate alcune bad news rimbalzate ieri dal Dragone e dal Paese iberico per scatenare ancora le vendite nelle Borse, alzare di nuovo la temperatura degli spread e archiviare malissimo una settimana dominata dall’incertezza.
Della fiducia di inizio anno non è quasi rimasta più traccia. Sotterrata da cifre impietose, come quel -3,16% che ha stordito ieri Milano (oltre il 10% il crollo delle ultime due settimane), con altri 11 miliardi di capitalizzazione lasciati sul campo dopo i 17 polverizzati nella seduta da infarto di martedì. Ma anche altrove è stata solo sofferenza: da Londra (-1,03%) a Francoforte (-2,36%), da Parigi (-2,47%) a Madrid (-3,58%). Neppure Wall Street si è salvata (-0,5% a un’ora dalla chiusura): nonostate le trimestrali sopra le attese di Jp Morgan, Google e Wells Fargo, sul piatto della bilancia ha finito per pesare come un macigno il calo della fiducia dei consumatori Usa in aprile.
La discesa della consumer confidence è il sintomo di una malattia globale, ovvero della progressiva perdita di slancio della ripresa anche in quei Paesi che sembravano immuni da un rallentamento. La Cina ne è l’esempio più eclatante. L’ex Impero Celeste è in frenata: nel primo trimestre è cresciuto “solo“ dell’8,1% rispetto allo stesso periodo del 2011, il dato più basso in quasi tre anni. Le stime della Banca Mondiale indicano che l’intero 2012 verrà chiuso con un +8,2%. Per l’Europa, e anche per gli Usa, si tratta di un tasso da sogno, mentre per Pechino indica un problema legato da un lato alla minore crescita dei consumi e degli investimenti e dall’altro alla flessione della domanda per il made in China, specialmente nel Vecchio continente. Un guaio per l’Europa, che contava sulla Cina per alimentare l’export, in modo da sostenere il ciclo economico e rendere meno problematico il risanamento dei bilanci.
Appare quindi del tutto evidente come la performance del Dragone abbia finito per scatenare sui mercati un impulso ribassista. Poi rafforzatosi non appena la Banca di Spagna ha riferito che i rifinanziamenti ottenuti dagli istituti iberici dalla Bce sono schizzati in marzo a 227,6 miliardi, facendo segnare un nuovo record negativo. Qui sta il punto: si teme che le banche (non solo quelle spagnole) abbiano usato gran parte dei due maxi-finanziamenti Bce (oltre 1.000 miliardi) per comprare i titoli di Stato che stavano crollando: un legame che qualcuno giudica incestuoso e pericolosissimo, visto che molte banche si rifinanziano con garanzia statale. Risultato: spread in forte tensione, con il Btp-Bund a un soffio dai 380 punti; il differenziale tra i Bonos e i titoli tedeschi schizzato a 437; e i cds spagnoli (il costo per assicurarsi dal rischio di default) volati al primato storico di 505 punti. Al momento, l’Eurotower non pare intenzionata a mettere altre “stampelle“ a disposizione delle banche. Sono dunque prevedibili nuove giornate di passione per i titoli del credito, incappati ieri in un’altra giornata nera (Bpm ha perso l’8,17%, il Banco Popolare il 7,12% e Ubi Banca e Unicredit oltre il 6%). Sulle banche italiane e spagnole pesa tra l’altro come una spada di Damocle l’annuncio di una variazione dei rating che Moody’s potrebbe fare all’inizio di maggio.
La prossima settimana sarà tra l’altro dominata dal vertice a Washington del G20.

Sulle risorse aggiuntive da assegnare al Fondo monetario internazionale sembra sia già stata raggiunta un’intesa sulla base di 400-500 miliardi di dollari, molti di meno rispetto ai 600 chiesti dallo stesso Fmi per fronteggiare la crisi del debito. Un’altra tegola in arrivo.

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