La Cina rimbalza, le altre Borse no

Pechino sfiora un +2% dopo la rimozione dei blocchi. Milano (-1,6%) scivola sotto i 20mila punti

Rodolfo PariettiRimbalzo fallito, vendite ancora prevalenti e un umore che nelle Borse si fa sempre più nero. Con prospettive più incerte di un piano inclinato, i mercati archiviano una settimana che ha lasciato ferite profonde negli indici, plasticamente rappresentate sia dal -7% accusato dell'Eurostoxx 50, le cui lancette si sono riposizione sui livelli del 2011, sia dallo score ancora più deludente (-7,23%) di Piazza Affari nell'ottava, chiusa ieri con un altro passo falso (-1,59%) che ha fatto scivolare il Ftse-Mib sotto la soglia dei 20mila punti.L'incapacità di Milano, e anche delle altre piazze europee, di risollevare la testa è un sintomo preoccupante. Non solo i nuovi ribassi hanno incrementato i 2.300 miliardi di dollari di capitalizzazione che i listini globali avevano bruciato fino a giovedì scorso, ma sono arrivati nonostante ci fossero le condizioni per un recupero almeno parziale. La Borsa cinese ha infatti chiuso sfiorando un rialzo del 2%, una volta liberata dal cappio del circuit breaking, il meccanismo che interrompe definitivamente gli scambi quando gli indici collassano del 7%. Nato come misura anti-panico, il blocco è stato rimosso dopo che le autorità di mercato avevano constatato che produceva esattamente l'effetto opposto. Inoltre, la People' Bank of China, la banca centrale cinese, ha interrotto ieri la lunga catena di svalutazioni dello yuan. Pechino sembra insomma concentrata a non esasperare le già forti tensioni sui mercati, nonostante dal numero uno del Fmi, Christine Lagarde, sia arrivato l'invito a «una maggiore chiarezza sulle politiche, specialmente quella relativa ai tassi di cambio», soprattutto in vista dell'inclusione dello yuan - a partire dal 1° ottobre 2016 - nel paniere delle valute di riserva del Fondo.Alle buone notizie dalla Cina si sono poi sommate quelle arrivate dagli Stati Uniti, dove in dicembre sono stati creati 292mila posti di lavoro, ben oltre le stime pari a 210mila. Il dato dei due mesi precedenti è stato rivisto al rialzo per complessivi 50mila. A conti fatti, nell'intero 2015 l'America ha avuto un saldo positivo mensile di occupati pari a 221mila unità, una cifra comunque inferiore rispetto alle 260mila del 2014. Per gli Usa, è stato comunque il 63esimo mese consecutivo con la crescita dell'occupazione. Il tasso di disoccupazione è rimasto al 5% per il terzo mese di fila e il numero di disoccupati è sostanzialmente invariato a 7,9 milioni. Cifre che sembrano giustificare la decisione con cui la Federal Reserve ha alzato i tassi il mese scorso. «È stata la mossa giusta, perché le prospettive economiche sono buone», ha infatti sottolineato John Williams, presidente della Fed di San Francisco. E le prossime strette? «Saranno più simili all'ascensione gentile di un aereo che a un razzo sparato verso l'alto», ha garantito Williams. Parole che hanno solo parzialmente scaldato Wall Street (+0,15% a un'ora dalla chiusura).

Per ridare colore alle Borse europee servirebbe invece un'azione della Bce. Potrebbe arrivare: «Se i dati in arrivo nei prossimi mesi segnalano che bisogna fare di più, lo faremo», ha detto Philip Lane, governatore della Banca di Irlanda.

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