Alla fine, dopo il round infuocato di lunedì 4 gennaio, i due pesi massimi si sono tolti i guantoni. Incontro sospeso, la resa dei conti rimandata in marzo. Covid permettendo.
Arabia Saudita e Russia si stringono freddamente la mano e danno in pasto ai mercati un accordo sorprendente visto l'aria che tirava: produzione di petrolio bloccata questo mese e il prossimo sui livelli stabiliti nella riunione di dicembre, più un contentino a Mosca e al Kazakistan che potranno alzare l'output di 150mila barili al giorno, ma solo per soddisfare la domanda interna durante l'inverno. Ma il piatto forte lo riserva Ryad, che taglierà a febbraio e marzo la propria produzione di un milione di barili, riducendola a 8,1 milioni, nel tentativo di convincere gli altri Paesi a mantenere lo status quo.
È un'intesa che, per ora, piace ai mercati. Al punto da proiettare i prezzi del Wti sopra i 50 dollari, un livello che non si vedeva da dieci mesi circa. Il bilancio causato dalla pandemia resta però in forte deficit, visto che a inizio 2020 il West Texas era scambiato attorno ai 63 dollari.
La strada del recupero è comunque ancora lunga e in salita, col percorso reso oltremodo accidentato dalle nuove restrizioni che stanno agendo come un cappio sulla domanda di energia e mantenendo gli stoccaggi pieni fino all'orlo. Non è insomma ancora il momento giusto per dare una sforbiciata all'output, attualmente pari a 7,2 milioni di barili al giorno, né il tempo ideale per pompare 500mila barili di greggio in più come la Russia - a braccetto col Kazakistan - chiedeva con insistenza nel timore che un'offerta strozzata diventi un assist per i Signori del petrolio Usa. In realtà, l'Opec nella sua versione allargata (il cosiddetto Opec+) si sta rivelando un corpaccione perfino più sfilacciato rispetto al format d'origine. Dilaniato da lotte intestine che sono poi quelle che hanno rischiato di far naufragare l'ultimo vertice e costretto ieri i partecipanti a una sessione supplementare per trovare una faticosa quadra. Questa fragilità nei rapporti nasce certamente da un coagulo di interessi diversi, se non addirittura contrapposti, e già ha fatto danni la scorsa primavera, teatro della guerra dei prezzi fra Ryad e Mosca cessata solo in seguito al crollo delle quotazioni determinato dalla prima ondata di lockdown su scala globale.
Ma quanto successo negli ultimi due giorni offre la plastica dimostrazione di contrasti irrisolti, destinati a venire di nuovo a galla alla prima occasione. Tenuto conto che, al momento, i prezzi sono sostenuti dalle tensioni in Medio Oriente dopo il sequestro di una nave cisterna da parte dell'Iran, resta da capire come si evolverà la situazione nei prossimi due mesi.
Se le condizioni saranno ideali per preparare il terreno a un incremento della produzione in marzo, tutto filerà liscio. In caso contrario, se Mosca punterà comunque i piedi per ottenere l'aumento richiesto, i casi sono due: o i sauditi abbozzano, oppure riprenderà il match sospeso. E qualcuno finirà al tappeto.
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