Non bastavano i dimostranti di Hong Kong, nel generale rallentamento dei consumi cinesi, e le sanzioni alla Russia di Putin. Ora ci si mette anche il Brasile a preoccupare investitori e grandi gruppi presenti nei tre maggiori mercati emergenti del globo. Gli unici che, dall'inizio della crisi, hanno rappresentato una fonte affidabile di consumi, produzione, profitti: sabato ci sarà il primo turno delle elezioni presidenziali e il leader uscente, la erede di Lula, Dilma Rousseff, è tornata prima nei sondaggi dopo essere stata sotto fino a pochi giorni fa. La sua riconferma spaventa i mercati, che temono l'inasprirsi delle condizioni di stagnazione e inflazione prodotte dalle politiche interventiste, fiscali e pubbliche del governo di Dilma. E che puntavano a un cambiamento.
Domani notte andrà in onda l'ultimo confronto televisivo tra i tre candidati principali: gli sfidanti di Dilma e del suo Partito dei Lavoratori sono la socialista Marina Silva e il socialdemocratico Aécio Neves. Nel sondaggio del 28 agosto, per la prima volta, Marina aveva ottenuto il 29% e Dilma il 34%. Ma nella proiezione del secondo turno il risultato si era ribaltato: 45 a 34. Ieri Dilma ha però completato la sua rimonta e nell'ultima rilevazione ha raggiunto addirittura il 40% al primo turno contro il 25% di Marina, che rischia di restare fuori dal ballottaggio.
Nel secondo maggior evento-spettacolo dell'anno, dopo i mondiali di calcio di giugno-luglio, con i tre candidati chiamati rigorosamente per nome, l'establishment industriale e finanziario non fa mistero di non gradire Dilma. Dopo le contestazioni negli stadi dei mondiali, il malcontento si è diffuso anche verso il basso, a partire dalle classi sociali medie. E da qualche settimana la «élite bianca» aveva puntato tutte le sue speranze su Marina, diventata candidata per caso dopo la morte di Eduardo Campos in un incidente aereo. Marina, con un programma economico comunque di sinistra (la leader socialista era il ministro dell'ambiente di Lula), crede più di Dilma nella libera impresa e intende ridurre la spesa pubblica, principale causa dell'inflazione tornata al livello di guardia del 6,5%. Gli investitori istituzionali la considerano più «market friendly» di Dilma. In ogni caso al Paese serve una svolta nella politica economica dopo che il Pil ha segnato un segno meno per due trimestri consecutivi. Grandi gruppi italiani come Pirelli, Fiat o Tim stanno vivendo da vicino gli effetti del calo della domanda interna, che per tutti gli ultimi 12 anni dei governi Lula e Dilma hanno sostenuto l'intera economia brasiliana. Lo stesso vale per gli altri grandi gruppi internazionali.
Ma l'entusiasmo per Marina si è lentamente appannato con l'avvicinarsi della scadenza elettorale e la messa in moto della poderosa macchina del Partito dei Lavoratori ha riportato Dilma in vantaggio, specie grazie al consenso nelle zone più povere del Paese, mentre nelle grandi città di Rio e San Paolo il Pt è più in difficoltà. Sta di fatto che in settembre sono crollati sia il cambio, sia le Borse. Il Real si sta svalutando giorno dopo giorno: dal minimo di 2,2 raggiunto con i sondaggi favorevoli a Marina, il biglietto verde è schizzato a 2,5, guadagnando più del 13%. Idem per la Borsa di San Paolo, il cui indice Ibovespa da settembre ha perso il 12,5%.
Gli investitori temono che altri quattro anni di governo «petista», economicamente impostato sulla leva deficit fiscale, potrebbe portare il Paese verso un downgrading. Ma il mercato, come ha detto recentemente Lula, «non decide le elezioni. E non non abbiamo mai chiesto il suo voto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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