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"Così difendo le pmi italiane contro le pressioni dei poteri forti"

Matteo Cavelli, presidente di TessiliVari: "Le mie aziende cercano di tutelare gli interessi di chi produce in Italia: si sono viste imporre un contratto svantaggioso da chi non aveva le deleghe"

"Così difendo le pmi italiane contro le pressioni dei poteri forti"

Quanto è difficile tutelare gli interessi del made in Italy, nel 2015? Come se già non bastassero la crisi economica, la concorrenza sleale e la competizione estera, da oggi le pmi devono guardarsi le spalle da insidie prima sconosciute.

A raccontarcelo è Matteo Cavelli, imprenditore lombardo e presidente di TessiliVari, sigla che dal 1945 raggruppa varie aziende tessili e affini. A spingere Cavelli alla protesta è una questione legata al rinnovo del contratto nazionale, che ha portato la sua associazione a venire di fatto esclusa da Confindustria e i sindacati a sottoscrivere un accordo con una nuova associazione senza che, spiega, vi fosse stata alcuna delega da parte delle aziende.

La questione si trascina ormai da due anni: da quando, a fine marzo 2013, è scaduto il contratto collettivo nazionale. Storicamente questo contratto veniva concertato tra tutte le aziende del settore tessile all’interno del sistema confindustriale, tra cui spicca il colosso di Sistema Moda Italia, che rappresenta 400.000 addetti (mentre TessiliVari ne rappresenta circa 15.000).

Nonostante questa consuetudine, racconta Cavelli, Smi ha firmato un nuovo contratto che prevede 118 euro lordi di aumento medio mensile, oltre ad ulteriori aumenti insostenibili per aziende in grave crisi e largamente esposte alla necessità di dover ricorrere agli ammortizzatori sociali. Il nuovo contratto è dunque irricevibile per le aziende che fanno capo all’associazione guidata da Cavelli. Che, oltretutto, aggiunge: “Noi rappresentiamo aziende che producono in Italia, mentre tra chi ha sottoscritto il nuovo contratto con i sindacati in molti hanno già da tempo delocalizzato la produzione all’estero, mantenendo in Italia solo i punti vendita monomarca”. I due scioperi indetti dai sindacati si risolvono in un flop e avviano un blocco degli straordinari che costringe le aziende a chiamare degli interinali, provocando le ire dei lavoratori contro i loro stessi sindacati.

TessiliVari tiene il punto: quel contratto non è adatto alle proprie aziende e pertanto senza modifiche non verrà sottoscritto.

Interessi diversi, contratti diversi: fin qui non sembrava esserci nessun problema. Se non fosse che Smi e sindacati decidono di rivolgersi a Confindustria, impugnando una vecchia delibera che prevedeva la confluenza di TessiliVari nella stessa Smi, in un’ottica di confluenza tra associazioni di imprese dello stesso settore.

Dopo una convocazione di fronte ai probiviri di Confindustria e un tentativo fallito di mediazione, dal 1° aprile scorso l’associazione guidata da Giorgio Squinzi comunica il recesso unilaterale dal rapporto con TessiliVari.

I sindacati confederali si sono rivolti alle aziende che afferivano alla sigla rappresentata da Cavelli, invitandole ad associarsi a Smi e a sottoscrivere il nuovo contratto, perché, sostenevano, non facendo TessiliVari più parte di un organismo nazionale (come Confindustria), avrebbe perso titolarità a negoziare il contratto nazionale.

Nel frattempo, però, Cavelli ha provveduto ad affiliare la propria associazione a ConfApi: l’adesione è andata in porto. TessiliVari per venerdì ha convocato le proprie aziende per dire loro che chi non vuole accettare il nuovo contratto stipulato dai sindacati con Smi, che secondo Cavelli non li rappresenta, può proseguire sotto l’egida di ConfApi, delegando TessiliVari alla concertazione. Ora a Cavelli si rivolgono anche aziende che non sono associate a TessiliVari, ma che sono interessate a una modalità di contrattazione più sensibile, a loro parere, alle esigenze delle aziende che producono tutto - o quasi – in Italia.

Poco importa che i contratti siano sottoscritti con o senza le deleghe necessarie, sembra insegnare questa storia: le piccole e medie imprese italiane non sono disposte a farsi dettare la linea di nessuno, né dal basso né dall’alto.

Che poi, chiosa Cavelli, con il nuovo contratto i lavoratori avrebbero sì più soldi in busta paga a fine mese, ma le aziende, già in crisi, sarebbero costretti a lasciare a casa sempre più persone. Ma questa è un’altra storia…

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