S e oggi fosse ancora vivo, Salvatore Ligresti potrebbe a buon diritto proclamarsi innocente. La sentenza della Corte d'appello di Torino che ieri ha annullato la condanna, inflitta nell'ottobre 2016 all'Ingegnere e a sua figlia Jonella per il caso Fonsai, arriva per il capostipite fuori tempo massimo: Ligresti se n'è andato nel maggio del 2018, malato e amareggiato per il crollo dell'impero costruito in sessant'anni di lavoro e per l'inchiesta che lo aveva investito. Quel che resta è la sconfessione plateale dell'impianto accusatorio costruito dalla Procura di Torino sui falsi in bilancio di Fonsai, e sulle bugie che i Ligresti avrebbero raccontato nel 2011 alla Consob per abbellire i bilanci del gruppo, innescando e aggravando il crac che sarebbe arrivato nel 2013.
In sostanza, il dissesto di uno dei maggiori gruppi assicurativi italiani è destinato a restare senza colpevoli. A questo risultato si è pervenuti anche grazie allo scontro tra le due Procure che della vicenda si sono occupate: da una parte Milano, che considerava le banche creditrici di Fonsai in qualche modo corresponsabili delle colpe di Ligresti e figli; e quella di Torino, che agli istituti di credito attribuiva il ruolo di vittime. La battaglia per la competenza era resa cruciale da questa diversità radicale di lettura della vicenda: non a caso Mediobanca si è battuta strenuamente attraverso i suoi legali per fare in modo che il processo restasse a Torino.
E invece ieri la Corte d'appello torinese ha annullato la condanna di Jonella, all'epoca presidente Fonsai, a cinque anni e otto mesi di carcere, dell'ex ad Fausto Marchionni a 5 anni e 3 mesi e dell'ex revisore Riccardo Ottaviano a due anni e sei mesi, dichiarando che la competenza a indagare spettava a Milano. Torino ha rimandato l'intero fascicolo alla Procura del capoluogo lombardo perché valuti il da farsi. Ma qui la sorte dell'inchiesta appare segnata, perché a Milano si è già deciso che il reato contestato ai Ligresti, ossia la supervalutazione dolosa della riserva sinistri, non è mai avvenuto. Lo hanno deciso il tribunale e la Corte d'appello che hanno per due volte assolto Paolo Ligresti, il più giovane dei figli dell'Ingegnere, accusato dei medesimi reati e con le medesime prove. Sia in primo che in secondo grado era stata la stessa Procura milanese a chiedere l'assoluzione dell'imputato. E sarebbe dunque singolare che decidesse ora di procedere penalmente contro la sorella. Sullo schermo del caso Ligresti, insomma, sta per apparire la parola «fine».
Nei titoli di coda però andrebbe ricordata l'ostinazione dei pm torinesi, che sbatterono in galera le due sorelle Ligresti e ce le tennero così a lungo che Giulia, pur continuando a proclamarsi innocente, scelse di patteggiare per uscire di cella. Nonostante di Fonsai non avessero più neanche una azione, pm e giudici torinesi sostennero che i Ligresti potevano tornare a delinquere, e indicarono come segno della loro pericolosità anche l'appartenenza a uno yacht club. Giulia dopo la condanna si vide respingere la richiesta di affidamento ai servizi sociali e venne portata in carcere.
E quando i giudici milanesi la scarcerarono, il procuratore generale di Torino diramò un comunicato per rivendicare la paternità dell'inchiesta e la competenza della magistratura torinese a indagare: «La Procura di Milano non ebbe alcuna parte nelle indagini», scriveva. «Sembra che si dimentichi che allora la sede legale della società era Torino e che questo era l'unico criterio per legittimare a procedere», aggiungeva. Ieri la Corte d'appello di Torino ha deciso diversamente.
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