«La crisi morde, ecco come ho cambiato Alpitour»

Secondo la Cgil le retribuzioni dei top manager sono pari a 163 volte lo stipendio medio di un impiegato: 4,3 milioni contro 26mila euro lordi. Il dato ha fatto sensazione. E ha riaperto il dibattito su un tema che sconfina dall'economia all'etica; abbiamo raccolto il pensiero di Gabriele Burgio, l'artefice del successo della spagnola Nh, seconda catena alberghiera europea, candidato nel 2007 all'incarico di amministratore delegato di Telecom Italia (lo volevano, stando alle ricostruzioni, Corrado Passera e Gaetano Micciché di IntesaSanpaolo, Alberto Nagel e Renato Pagliaro di Mediobanca, ma la strada gli fu sbarrata da Cesare Geronzi) e che oggi, da un anno, è presidente e ad di Alpitour, il primo tour operator italiano. Dice: «Sono cifre inverosimili. Non sono certo queste le medie».
E dove sta il giusto, secondo lei?
«Non lo so. Vedo, però, una differenza tra aziende quotate e non quotate, perché le prime hanno responsabilità verso il mercato azionario, le seconde verso una famiglia o un gruppo di soci».
Andrebbero introdotti dei limiti?
«Deve decidere il mercato. Un azionista può esprimersi in assemblea e può vendere le sue azioni. Alcune distorsioni andrebbero, comunque, corrette».
Quali?
« I bonus non dovrebbero essere a breve termine, ma legati alla creazione di valore almeno in 3 anni, e creando dei parametri di confronto. Mi spiego: se le società simili alla tua hanno guadagnato in Borsa il 30% e tu il 25%, vuol dire che non hai portato valore».
Qual è il ruolo del manager del dopo-crisi?
«Più complicato. Deve capire come sarà il suo business in futuro, perché il mondo sta cambiando radicalmente. A cavalcare la crescita sono tutti bravi. Ora le risorse sono scarse e le decisioni devono essere selettive».
Che rapporto ci dev'essere con gli azionisti? Lei, per esempio, sia in Nh sia in Alpitour possedeva e possiede una quota: è un suo modello di lavoro?
«Mi piace essere coinvolto, sedere a un tavolo ed essere dei loro; il cointeressamento aumenta la credibilità. Il rapporto con gli azionisti, oggi, è più stretto rispetto al passato. I consiglieri una volta ascoltavano i manager; oggi i cda sono più frequenti e le decisioni più collegiali».
Alpitour è stata acquistata nel 2012, per 200 milioni, da alcuni fondi di private equity; Exor - la finanziaria della famiglia Agnelli, che ne era proprietaria al 100% - ha mantenuto un 10%, e quote minori, oltre che a Burgio, appartengono ad alcune famiglie. Il 2012 è stato un anno «complicato», spiega l'ad, durante il quale i ricavi sono calati da 1.142 a 1.056 milioni.
A che cosa ha messo mano?
«Abbiamo cinque aziende, ciascuna con le sue peculiarità: il tour operator, la compagnia aerea Neos, gli alberghi, le agenzie, l'incoming, quest'ultimo non in Italia. Le novità? Abbiamo ridotto i marchi da 7 a 4. Offriamo al pubblico i posti invenduti sui charter: solo questo vale un milione al mese. Ridurremo la stampa dei cataloghi: ne facevamo 10 milioni di copie. Abbiamo istituito un call center sempre aperto, 24 ore. Abbiamo creato, con Europe Assistance, una nuova polizza assicurativa, e ci proteggiamo sul costo del petrolio, per non far gravare i rincari sui clienti».


Com'è il mercato?
«In Italia va male. Ma nel mondo il turismo è sempre andato bene, trainato dall'Asia. Nelle ultime settimane, però, stiamo assistendo a una ripresa».
Sul web quanto vendete?
«Solamente l'1%. C'è tanto da lavorare».

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