Nella versione estesa in cifre - 20.162.176.797.904, più spiccioli - diventa quasi illeggibile. Meglio dunque tradurre il mostro numerico in un più umano 20.162 miliardi. Di dollari. È l'ammontare del debito federale statunitense nell'ultima versione, quella che sancisce il superamento, per la prima volta nella storia americana, di una soglia psicologica che sembrava invalicabile. È successo tutto in un giorno, esattamente venerdì scorso, non appena il Tesoro Usa ha avuto le mani libere di agire dopo l'accordo raggiunto fra Donald Trump e i leader del Congresso sull'estensione di tre mesi (fino al prossimo 8 dicembre) dell'aumento del tetto del debito. Come si può notare dal grafico, sono stati aggiunti in sole 24 ore 318 miliardi, e l'impennata ha posto fine ai circa sei mesi di stallo durante i quali non si era trovato la quadra sul debt ceiling.
L'America ha evitato il temuto shutdown, ovvero la paralisi dell'attività di governo, e un peraltro molto ipotetico default, ma il nodo legato all'ammontare del debito resta, nonostante i record di ieri del Nasdaq e dello S&P, nel giorno in cui il petrolio si è riportato a 48,30 dollari il barile dopo l'annuncio dell'Opec di un calo della produzione in agosto a 32,755 milioni di barili al giorno. Michael A. Peterson, presidente della Peter G. Peterson Foundation, famosa per le sue posizioni conservative in campo fiscale, mette il dito sulla piaga del debito: «Il superamento di quota 20mila è l'ultima indicazione della preoccupante condizione fiscale in cui versa la nostra nazione». Non a caso, assieme alla riforma fiscale, il problema è in cima alla lista delle priorità del segretario al Tesoro, Steven Mnuchin. «Siamo concentrati su questi due punti, faremo tutto entro la fine dell'anno», ha spiegato. Sulla questione del debito le carte restano coperte, anche se una parte del Congresso spingerebbe verso un'abolizione del tetto; sul fronte fiscale l'ex executive di Goldman Sachs punta su un taglio delle aliquote retroattivo al primo gennaio scorso che - dice - sarebbe una «manna» per l'economia Usa. Ma la riduzione dall'attuale 35% al 15% della tassazione sulle imprese appare come una missione quasi impossibile, soprattutto se l'obiettivo è quello di mandarla in porto prima di gennaio 2018.
Insomma: molta carne al fuoco, ma nessuna certezza che il piatto cucinato sia commestibile. Anche perché, nei prossimi mesi, non mancheranno gli elementi di distrazione per la Casa Bianca. A cominciare dalla ricalibratura della squadra di comando alla Federal Reserve. In un anno che si preannuncia molto delicato nella conduzione della politica monetaria (i temi clou: manovre sui tassi e dimagrimento del bilancio), Trump può mettere mano al vertice sostituendo la presidente Janet Yellen, il cui incarico scade il prossimo febbraio, e nominare a breve ben 5 dei 7 membri dell'esecutivo della Fed, tutti dimissionari o a fine mandato. Mnuchin ha spiegato che la Yellen «è presa in considerazione» per una eventuale riconferma.
Argomento che potrebbe essere stato oggetto di conversazione dell'incontro, rivelato ieri dal Wall Street Journal, avvenuto lo scorso 17 luglio tra la numero uno della banca centrale Usa e la figlia del tycoon, Ivana Trump.
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