Economia

Dibattito: Il riordino del settore pensionistico

Previdenza integrativa: le incognite del businessLa riforma Fornero ha allungato l’età pensionabile, liberando spazi per assicurazioni e banche, e ha reso meno convenienti fondi aperti e Pip. Con quali conseguenze? Se ne è parlato in una tavola rotonda organizzata dal Giornale delle Assicurazioni

Dibattito: Il riordino del settore pensionistico

La riforma Fornero che ha cambiato le regole pensionistiche, la propensione al risparmio che si riduce, i nuovi bisogni di protezione innescati dai tagli al welfare pubblico, la raccolta dei premi vita in caduta libera: lo scenario assicurativo sembra evolvere tra molte incognite. La previdenza integrativa resta ancora un business redditizio? Che cosa fare per mantenere le buone performance realizzate dai Pip in controtendenza rispetto al resto del settore? Occorrono innovazioni di prodotto? E, a livello distributivo, il canale bancario è ancora efficace? Ha cercato di rispondere a queste domande la tavola rotonda L’opportunità di vendere previdenza in banca e con le reti agenziali, organizzata da Marcella Frati, director di Emf group, e dalGiornale delle Assicurazioni.

Al dibattito, moderato da Angela Maria Scullica, direttore del Giornale delle Assicurazioni e di BancaFinanza,hanno partecipato Andrea Battista, esperto del settore assicurativo vita; Domenico Carboni, direttore vita di Unipol; Michele Cristiano, amministratore delegato di Cattolica previdenza; Emanuele Marsiglia, direttore generale di Bancassurance popolari; Dario Moltrasio, head of retail distribution di Zurich global life; Arianna Nardi, responsabile della pianificazione commerciale di Assicurazioni Generali; Filippo Nobile, direttore generale di Cardif vita.

Domanda. Quali sono le incognite e le prospettive del mercato previdenziale?

Battista. Con la riforma Fornero, i tassi di sostituzione attesi aumentano. È abbastanza intuitivo: se una persona lavora fino al giorno prima di morire è ovvio che non ha problemi di pensione. Si lascia la produzione più tardi, si contribuisce di più e quindi la pensione sarà maggiore. La previdenza complementare sembrerebbe spiazzata dalla riforma Fornero, ma non è così. Perché un conto è fare il ragionamento per il lavoratore medio, un conto è confrontarsi con quello che realmente succede. In realtà, i trattamenti attesi e reali vanno differenziati in base all’età anagrafica e lavorativa. E allora le cose cambiano. C’è di più: proprio le ipotesi che stanno dietro la riforma ci portano a dire che il bisogno di previdenza integrativa c’è ancora. È vero che è aumentata la pensione media, ma si è molto ampliata la varianza della pensione attesa: sarà più alta ma ancor meno di prima si riesce a sapere esattamente quale sarà l’importo reale. Ci sono due elementi chiave che creano dubbi e incertezze. Il primo è il tasso di crescita del Pil: la riforma lo ipotizza del 2%; peccato che nel 2012 è stato -2,4% quest’anno scenderà ancora dello 0,6 o dell’1%, sperando che non precipiti di più. Nessuno può ipotizzare quando tornerà al 2%, anche se il Pil deve crescere, in caso contrario il paese va a gambe all’aria. E comunque siamo già in ritardo. L’altro elemento da considerare con attenzione è rappresentato dai buchi contributivi. Non si può immaginare che si dovrà lavorare 48 anni di continuo fino ai 70 senza un momento di precariato, di contribuzione un po’ ballerina, di disoccupazione. Insomma: è aumentata la pensione media ma è aumentato anche il rischio che sia effettivamente conseguita. Quindi il business che è stato considerato come un’attività finanziaria, sta potenzialmente diventando più assicurativo perché c’è un rischio connesso che prima era inferiore. Il rischio è quello che l’assegno pensionistico sia molto più basso di quello previsto dal modello teorico. Ma, permettetemi una provocazione: allora non è l’unemployment una delle coperture assicurative coerenti per un piano previdenziale?

Carboni. Non ci troviamo di fronte a un netto cambio di rotta; tuttavia possiamo affermare che, negli ultimi due anni, qualcosa si è mosso nel mercato. Almeno a livello di consapevolezza da parte della potenziale clientela. Molti (se non quasi tutti) i lavoratori che potevano accedere alla previdenza in un periodo medio-lungo non pensavano a una forma pensionistica integrativa. Erano convinti che, in ogni caso, si sarebbe trovata una soluzione. E che lo stato avrebbe continuato comunque a erogare pensioni, anche se magari in misura inferiore al previsto. Poi la riforma Fornero ha portato a una maggiore coscienza del gap previdenziale, resa più profonda dalla crisi. Le analisi che Unipol promuove in collaborazione con il Censis rivelano infatti che si sta iniziando a pensare in modo più concreto al concetto di previdenza. Dal dialogo con la rete distributiva emerge che, in un momento in cui il mercato dimostra che non potrà essere più lo stesso, anche in termini di vita, la previdenza sta progressivamente diventando un punto fondamentale per il business. Quello delle protezioni previdenziali resta un mercato di offerta, difficoltà evidente a fronte della quale i nostri agenti ci dicono: «Se il cliente ci verrà a chiedere qualcosa, sarà verosimilmente una richiesta di previdenza o di coperture analoghe». I nuovi bisogni di sicurezza non riguardano esclusivamente la tutela del tenore di vita una volta in pensione: il welfare pubblico non copre più gratuitamente molte aree sanitarie, lascia il peso della non autosufficienza sulle spalle delle famiglie.

Nobile. In Italia si risparmia di meno e, paradossalmente, cresce lo spazio per i piani di risparmio e per la previdenza. Con il crollo degli investimenti nel mattone, infatti, si è liberata una quota di disponibilità finanziaria. Non è ingente, ma dovremmo intercettarla e concentrarci sulla cosa principale: il valore per il cliente. A tal fine dobbiamo sfruttare il potenziale della crescente digitalizzazione - della comunicazione, delle vendite, dei servizi - mettendola a servizio dell’estrema trasparenza dei nostri prodotti. I consumatori oggi hanno sempre più informazioni a disposizione per effettuare le loro scelte, sono più consapevoli, più attenti. Prodotti che in passato sono stati venduti da alcuni operatori con caricamenti non adeguati non saranno più realizzabili grazie alla maggiore consapevolezza acquisita dai clienti. Il punto essenziale al quale tutti siamo tenuti a dare una risposta è come le compagnie costruiranno le soluzioni che meglio rispondano alle esigenze dei clienti. È necessario fare prodotti più assicurativi, ma senza che questo vada a impattare sul valore della rendita finale. È importante coprire gli eventi che possano, nella fase di accumulo, mettere a rischio il raggiungimento dell’obiettivo previdenziale come l’insorgenza di malattie o la perdita di impiego, ma non lo si può fare a scapito dei rendimenti e quindi della rendita complementare pensionistica. Tutti, dai clienti agli addetti alla vendita, sono accomunati da un’alta avversione al rischio, e spingono verso la prudenza, complice anche l’attuale contesto. Ma anche le garanzie offerte si pagano con rendimenti più contenuti. È quindi importante che, almeno su durate di lungo termine, si facciano scelte meno prudenti per lasciare più spazio ai rendimenti. Per tutto il comparto, la sfida è quella di offrire ai clienti prodotti trasparenti e un alto livello di servizio che li accompagnino, anche dopo la vendita, in tutto il loro percorso previdenziale, in modo che possano sempre tenere sotto controllo l’andamento del loro investimento. In questo scenario così articolato risulta fondamentale la scelta dei motori finanziari migliori. Quelli attualmente sul mercato sono indifferenziati, tradizionali e non particolarmente innovativi, perché non si è voluto investire a sufficienza su queste soluzioni. Se vogliamo invece accentuare gli elementi assicurativi dei prodotti, dando più spazio alla protezione, dobbiamo costruire motori finanziari che, pur mettendo la sicurezza al primo posto, possano aspirare a un obiettivo di rendimento per il futuro. È inoltre fondamentale una conoscenza approfondita della clientela: un giovane che sta pensando al master ha esigenze diverse dal trentenne che si sposa, il quale a sua volta ha priorità diverse dal padre di famiglia vicino alla pensione e con figli precari. Ciascun target richiede risposte specifiche.

Marsiglia. La riforma Fornero prevede che, dal 2018, uomini e donne vadano in pensione a 66 anni; poi c’è la possibilità di arrivare a 70, con un ulteriore aumento del tasso di sostituzione. Per cui, tenuto conto della vita attesa - 79 anni per gli uomini e 84 per le donne - il periodo in cui si può usufruire della prestazione pensionistica si riduce di molto, proprio perché si allunga la fase di cumulo delle pensioni. Stando così le cose e andando un po’ controcorrente, oserei dire che tutto ciò potrebbe non tradursi in una ulteriore necessità di previdenza complementare. A 70 anni, infatti, i problemi basilari della vita sono per lo più risolti: il mutuo è stato pagato, i figli sono sposati, per cui anche le necessità diminuiscono. Insomma la spinta, molto sollecitata, verso la previdenza complementare può essere messa in secondo piano, a parte la zona del disagio rappresentata dai disoccupati e dai precari. È una considerazione provocatoria, ma non tanto. Una persona che è nata nel 1956, con 30 anni di contributi e un reddito netto di 20 mila euro, se va in pensione a 66-67 anni si vede applicato un tasso di sostituzione del 78%, rispetto al 66% del regime pre-Fornero. Per effetto dei nuovi limiti di età pensionabile si riduce invece il periodo della prestazione futura. È stato calcolato, per questo caso, un tasso di penalizzazione del 12% del nuovo regime rispetto al precedente. Anche sui giovani va fatto un discorso realistico. È unanime il coro di chi dice che bisogna educare i ventenni a investire in previdenza perché il tasso di sostituzione sarà quello che sarà. Ora, tutti sanno che il tasso di disoccupazione giovanile in Italia si aggira intorno al 35%, che quattro milioni di lavoratori part time o precari vivono in un’area di profondo disagio. Come fanno queste persone a pensare alla previdenza complementare se non hanno le possibilità di contribuire nemmeno al primo pilastro? Chi ha un partita Iva fa fatica a versare i contributi per la pensione. Sono considerazioni, queste, che portano a pensare che nelle attuali condizioni sarà molto difficile che la previdenza complementare possa avere un ulteriore sviluppo oltre quello già registrato. Tant’è vero che la previdenza resta un mercato ancora guidato dall’offerta nel quale, guarda caso, i prodotti che crescono di più sono i Fip, i più redditizi e quindi commercialmente più sostenuti dagli intermediari. Lo scenario, per me, rimane molto problematico se non verrà modificato il quadro economico, fiscale e normativo. Sarebbe molto utile, se le condizioni lo permettessero, allargare il concetto della previdenza complementare anche a quello della protezione dell’individuo e del suo tenore di vita, un po’ come accade nella prévoyance francese. L’obiettivo sarebbe quello di coprire le principali tipologie di rischio che le persone e le famiglie devono affrontare nel corso dell’intero ciclo di vita: copertura rischio morte, invalidità, inabilità, long term care, pacchetti salute. Il concetto di servizio alla clientela non può prescindere dal tema dell’education delle reti, siano esse agenziali o bancarie, e del diverso e più complesso ruolo consulenziale, e non solo di provider di prodotti, che esse dovranno inevitabilmente assumere in una logica di fidelizzazione e di sensibilizzazione della clientela. Rimane alto quindi il livello di preoccupazione nei confronti del futuro previdenziale e ciò ci fa ritornare alla mente una celebre frase di Paul Valéry, poeta e scrittore francese, ripresa recentemente da Antonio Finocchiaro, presidente della Covip, che così recitava: «Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta».

D. Sembra di capire che la riforma Fornero abbia cambiato le prospettive del mercato: ma oggi la previdenza è ancora redditizia?

Cristiano. Il mercato dei bisogni previdenziali è già oggi enorme dal punto di vista delle sue dimensioni. Presenta straordinarie opportunità per gli operatori professionali. E le sue prospettive sono in crescita. Può diventare anche una occasione di posizionamento (o di riposizionamento) dell’industria assicurativa in termini di valori. Con una conseguente rivalutazione dell’immagine per le compagnie assicurative (ma anche per le banche) che, notoriamente, qualche problema di reputazione percepita, a torto o a ragione ce l’hanno. Il fatto di occuparsi di bisogni previdenziali con soluzioni che spesso sono risolutive rispetto alla realizzazione del “progetto di vita” dei clienti è un approccio socialmente utile e riporta alle finalità tipiche e più nobili della mission dell’assicurazione. Certo: non mancano le incognite e le difficoltà di conciliare la necessità di orientarsi nel contesto mutevole di un welfare state in profonda regressione, con la possibilità (e la capacità) per la popolazione di gestire quote di risparmio da destinare alla previdenza. Anche se sono intervenute recenti riforme, nessuno ha la certezza che il sistema pensionistico sarà sostenibile per lungo tempo. Invece sembra certo che, nell’ottica di un’ulteriore diminuzione dell’intervento pubblico, le prossime questioni da affrontare riguarderanno, la spesa sanitaria, la non auto sufficienza, e la spesa per l’istruzione dei figli. La riforma Fornero ha riposizionato la prospettiva pensionistica degli italiani, ma ci sono ancora elementi di incertezza; la demografia è scritta, ma le ipotesi finanziarie, quelle riferite al Pil, sono assolutamente instabili, come pure la possibilità di ciascuno di poter versare i contributi con continuità. Lo scarso interesse fin qui dimostrato dagli italiani alle coperture di previdenza complementare poggiano su atteggiamenti e cultura che si sono sedimentati nel tempo: è su queste priorità che gli operatori dovranno intervenire. In particolare, il fatto che le generazioni che ci hanno preceduto (e i pensionati attuali) percepiscano mediamente l’80% dell’ultimo reddito da lavoro ha contribuito a far credere che la previdenza fosse una questione da delegare allo stato. Invece è drammaticamente vero che il welfare così come l’abbiamo conosciuto non è più sostenibile. Neppure la solidarietà familiare, vero secondo pilastro per la previdenza, e l’assistenza come ammortizzatore sociale potranno più essere le stesse di prima. La struttura familiare si è infatti profondamente modificata: le famiglie sono meno numerose, crescono i nuclei con un solo componente, talvolta composti dai anziani soli. Il welfare che dobbiamo immaginarci sarà sempre di più un mix, dove lo stato e la famiglia, per ovvie ragioni, conteranno di meno. E dove il volontariato e soprattutto il mercato, gli operatori professionali, giocheranno un ruolo sempre più importante.

Moltrasio. Che la previdenza sia un possibile volano di sviluppo dell’industria assicurativa sono le cifre a dirlo. Su 20 milioni di lavoratori, solo 5,8 hanno aderito alla previdenza complementare. I prodotti che si vendono maggiormente sono i piani individuali di previdenza, perché rendono di più e sono supportati dalle reti distributive che riescono a remunerare l’attività di consulenza del venditore. Certo, in Italia la penetrazione di questi prodotti è ben lontana da quella dell’Europa del nord. Ma un cammino di crescita è stato ormai intrapreso e i dati Covip ce lo confermano. Quello che Zurich sta facendo da due anni è di inserire la previdenza nell’ambito del concetto di financial planning. È un compito del consulente finanziario quello di pianificare nel lungo periodo gli investimenti del cliente; all’interno di questo processo stiamo inserendo la previdenza, con moduli che guidino l’operatore in questo percorso.

Nardi. Assicurazioni Generali è presente da sempre nella previdenza, anticipando l’introduzione delle diverse riforme del settore pensionistico. Già all’inizio degli anni Novanta la compagnia distribuiva prodotti di carattere previdenziale, formava la rete in modo continuativo e gestiva le prime campagne di informazione. Dati i numerosi cambiamenti nel contesto di mercato e normativo, Generali negli ultimi 20 anni ha cambiato l’approccio alla previdenza in modo significativo. Oggi il punto distintivo è la sinergia con la propria rete di vendita. Questo significa mettere in azione contestualmente le diverse leve distributive, e quindi sviluppare i prodotti in funzione del mercato, qualificare gli operatori professionali a seconda delle esigenze di ciascuno, evolvere i processi di agenzia e incentivare la produzione di qualità. A fare la differenza nel corso degli anni è stata proprio la messa a punto delle diverse leve. Tra il 2001 e il 2003, la raccolta previdenziale di Generali è passata da 25 a 40 milioni di euro l’anno, grazie allo sviluppo di moduli formativi per agenti e venditori diretti. Oggi questo approccio si è esteso e si chiama Agire (Assicurazioni Generali: the insurance roadmap to excellence), un segno distintivo della strategia distributiva che prevede percorsi specifici per agenti, produttori professional e tutor. Essendo un mercato di offerta, nel quale conta soprattutto la professionalità del venditore, è importante avere un ruolo attivo nell’evoluzione della sensibilità al tema della previdenza sia da parte del mercato, sia delle nuove generazioni. Proprio per far acquisire ai giovani la consapevolezza che un piano previdenziale va avviato il prima possibile, nel 2011, anticipando la riforma Fornero, abbiamo lanciato una iniziativa per gli under 40 che azzerava i caricamenti delle prime due annualità di premio. È solo un inizio verso la personalizzazione dell’offerta di prodotti previdenziali. Il portafoglio clienti di Generali è composto in larga parte di professionisti, imprenditori, quadri e dirigenti, tendenzialmente a elevata capacità di spesa e investimento. L’obiettivo ora è realizzare piani disegnati sui bisogni dei segmenti di clienti, come per esempio alcune categorie di professionisti, integrando componenti di offerta a maggior contenuto demografico.

D. Occorrono innovazioni di prodotto, vista la crisi e i nuovi bisogni di sicurezza che stanno emergendo?

Moltrasio. Non penso che il mercato abbia la possibilità di innovare ulteriormente i prodotti, perché, purtroppo, se aumentiamo le protezioni assicurative andiamo a sottrarre risorse dal motore finanziario che deve generare le rendite, cioè rischiamo di compromettere il risultato finale. Questo è un limite che in questo momento abbiamo in un mercato che sta partendo e che ha bisogno di sostegno.

Cristiano. Non c’è un problema di prodotti: le soluzioni tecniche esistono già. Semmai dobbiamo fare un ulteriore sforzo di semplificazione e di approccio in chiave di comunicazione. Mi spiego meglio. Noi assicuratori ragioniamo in termini di “rami ministeriali”; il cliente non ragiona così, ragiona in termini di bisogni. Vuole una soluzione al rischio di longevità in rapporto al reddito o al mantenimento del tenore di vita. Ma, nello stesso momento, vuole anche essere tranquillo di poter affrontare una spesa sanitaria, o di essere economicamente indipendente e di non pesare sui familiari qualora dovessero insorgere problemi legati alla non autosufficienza. E anche la garanzia economica di poter portare a termine il percorso di studi dei figli. Vuole, in sintesi, soluzioni che lo aiutino a realizzare il progetto di vita suo e dei suoi cari con ridotti rischi economici. Tutto ciò era in buona parte garantito dal welfare pubblico. Oggi, invece, ciascuno è chiamato a una maggiore responsabilità nella finalizzazione dei propri risparmi, sia pure in un contesto, come quello attuale, dove la capacità di risparmio può essere più complicata. Come operatori professionali dobbiamo impegnarci a non complicare ulteriormente le scelte dei clienti, proponendoci, prima ancora che come costruttori di soluzioni o prodotti, come coloro che possono accompagnare il cliente nelle diverse fasi della sua vita.

D. Sono necessari cambiamenti nelle reti di vendita bancarie e assicurative?

Nobile. In un contesto che richiede un approccio multitasking, la crescita professionale degli addetti alla vendita è la nostra priorità. A fronte della potenzialità di internet, che ha liberato la circolazione delle informazioni, anche il miglior consulente si troverebbe in difficoltà se la sua offerta fosse qualitativamente inferiore o incoerente con quello che l’utente può vedere e confrontare on line. Dando, quindi, per scontata la validità del prodotto, ci concentriamo su tre elementi: formazione della rete per tutti i canali con un focus sulla web reputation; digitalizzazione dei processi, che riduce i costi per le compagnie a fronte di una miglior qualità per il cliente; divulgazione di temi di previdenza complementare attraverso eventi pubblici e privati. La bancassurance ci sembra ancora la strada principale da percorrere, perché offre la possibilità di accedere a un’ampia clientela e di servire in modo completo le diverse esigenze. Del resto, a oggi, il canale bancario prevale nella distribuzione di prodotti di previdenza integrativa. Questo segnale ci fa capire che i clienti contano sulle banche per questo aspetto della loro vita: è importante, quindi, che le aziende di credito, coadiuvate dai loro partner assicurativi, siano pronte e preparate a fornire la consulenza di cui i clienti hanno bisogno. Coprire a 360 gradi i bisogni assicurativi della clientela è un obiettivo che richiede tempo e molto impegno, soprattutto in un momento di crisi come quello attuale, caratterizzato da cambiamenti repentini.

Battista. La situazione economica e il mercato impongono la necessità di una nuova formazione degli operatori. Per quanto riguarda il canale bancario c’è una importante evoluzione interna: gli sportelli fisici sono chiaramente troppi e non ci sono abbastanza margini per sostenerli. Nei piani industriali compaiono importanti riformulazioni delle strategie distributive, che portano tendenzialmente a rafforzare l’advisory e la vendita di prodotti complessi. Queste soluzioni erano a scaffale, ma il personale non aveva ricevuto formazione, e comunque la vendita non era una priorità. Oggi dobbiamo cambiare prospettiva: questa rimodulazione apre lo spazio allo sviluppo di una forza vendita adeguata, che può rappresentare una grande occasione per i prodotti previdenziali.

Nardi. Rendere più efficiente la distribuzione, migliorare la comunicazione con la clientela acquisita e potenziale, migliorare il servizio rafforzando le capacità di contatto: sono gli obiettivi che Generali si pone sul fronte della distribuzione. Questo significa puntare all’“agenzia 2.0”, un business model che sfrutta le sinergie tra web e rete di vendita attraverso l’evoluzione di competenze e processi di agenzia. Le agenzie potranno gestire, attraverso il loro mini-sito (integrato al sistema Generali.it), nuove funzionalità e modalità di contatto con il mercato di riferimento, sfruttando i vantaggi competitivi del web a servizio del canale fisico e potenziando il loro posizionamento sul territorio. Il tutto senza dimenticare che il vero valore aggiunto resta la capacità di fornire un servizio di consulenza “in ascolto” del mercato. Perciò sarà data piena continuità all’investimento sulle competenze della rete, rivolte alla gestione di un modello di integrazione tra canale tradizionale e web e alla gestione dell’agenzia come impresa, in grado quindi di stare sul mercato, obiettivo ancora più importante in un momento difficile come quello odierno.

Cristiano. Costruire una relazione fiduciaria di lungo, lunghissimo periodo con il cliente, seguendolo e supportandolo nella realizzazione del suo progetto di vita. Questo è l’obiettivo a cui devono tendere un’impresa, la sua rete distributiva e ogni singolo operatore che voglia essere riconosciuto come un punto di riferimento del mercato previdenziale. Tuttavia, una relazione di fiducia la si costruisce nel tempo. Chi segue i suggerimenti e gli indirizzi di un operatore professionale, sottoscrivendo anche le soluzioni da lui proposte, scoprirà se ha fatto una buona scelta solo con il trascorrere del tempo. In Cattolica previdenza abbiamo deciso di aderire a un programma di certificazione a norme Iso/Uni in capo alla società e a ogni singolo operatore. Cattolica previdenza, attraverso la sua società di distribuzione, è la prima compagnia al mondo a ottenere la certificazione in educazione finanziaria secondo le norme Uni 11402. Si tratta di norme che definiscono questo processo nelle tre forme previste a livello europeo: informazione, istruzione e consulenza. E che certificano la competenza dei formatori (i singoli consulenti, le reti distributive e le scuole di formazione), ma anche i requisiti dei sistemi di gestione, monitoraggio e controllo.

Carboni. L’attuale momento del mercato, con i nuovi bisogni di sicurezza generati dalle carenze del welfare pubblico, offrono grandi possibilità di sviluppo all’industria assicurativa. Unipol è impegnata in un’opera di informazione verso il pubblico e di formazione degli agenti, quest’ultima per potenziare ulteriormente competenze e capacità consulenziale. La nostra intenzione è di ampliare, a partire dal 2013, la nostra offerta a temi e problemi legati al welfare familiare. Pensiamo a soluzioni che oltre alla previdenza, prevedano la protection, la sanità integrativa, la ltc, i piani di risparmio. Un mix di life e non life su cui la nostra rete distributiva dovrà concentrarsi e organizzarsi, in funzione di quello che sarà lo scenario competitivo dei prossimi anni.

Moltrasio. Proporre previdenza, ma anche protection, magari inquadrati in un investimento lifecycle e di lungo periodo non è affatto semplice. Oggi poi, in un contesto di recessione e di ridotte capacità di risparmio dei clienti le criticità aumentano. I problemi della distribuzione si superano se si convince la rete della qualità e della redditività dei prodotti da vendere. Se il consulente conosce in modo approfondito e apprezza le soluzioni previdenziali che propone, saprà trasmettere le conoscenze e la sua convinzione.

Occorre, per questo, una profonda formazione della rete distributiva, che va supportata con ogni mezzo nella sua attività di consulenza.

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