A dieci anni dalla morte, la famiglia riunita a Sestriere l'anniversario

A dieci anni dalla morte, la famiglia riunita a Sestriere l'anniversario

nostro inviato a Sestriere (Torino)

Era la tarda mattinata del 6 marzo 2003 quando, a un mese dalla morte del fratello Gianni e appena nominato presidente di Fiat al posto di Paolo Fresco, Umberto Agnelli si presentò al Salone dell'auto di Ginevra e, osservando uno dei modelli esposti sullo stand torinese, ne sottolineò «il colore triste» (una tonalità di verde), come a rimarcare l'esigenza, da parte del gruppo, di ritrovare lo smalto dei tempi migliori. «Ma ce la faremo», aggiunse poco dopo, passeggiando tra le novità in vetrina. Quella fu una delle ultime volte che Agnelli apparve in pubblico e il suo ultimo Salone dell'auto, «il primo a cui partecipo dopo 40 anni».
E il mega ritratto di Umberto Agnelli, sorridente, in una delle sue pose abituali, sovrastante l'ingresso del Palazzetto dello sport di Sestriere, ha accolto ieri 400 persone tra familiari, autorità e ospiti a 10 anni dalla sua morte. Accanto al ritratto la scritta: «L'impegno straordinario di un uomo». Molti i volti noti: Gigi Buffon, Antonio Giraudo, Gianluca Pessotto, Pavel Nedved, Luca di Montezemolo, Piero Ferrari, Paolo Pininfarina, Gabriele Galateri, per anni braccio destro di Agnelli all'Ifil. I familiari, con la moglie Allegra Caracciolo, i figli Andrea, che ha concluso la commemorazione, e Anna; e poi la sorella Maria Sole, i nipoti Lupo Rattazzi e Tiberto Ruy Brandolini d'Adda. In prima fila, ad ascoltare il ricordo dello zio, l'erede dell'impero Agnelli, John Elkann («molti scrivevano che zio Umberto non amava la parte auto del gruppo, ma non è vero, e lo ha dimostrato; non amava che fosse mal gestita, voleva fosse ben gestita»).
E se il primo cittadino di Sestriere, Valer Marin, nell'aprire la giornata, ha ricordato l'«assist» che il Dottore diede ai Giochi di Torino del 2006, facendo della stazione sciistica piemontese un punto di riferimento mondiale per gli sport invernali e non solo, è toccato a Piero Fassino, sindaco di Torino, tracciare il profilo umano e imprenditoriale di Agnelli («uomo garbato, attento, capace di ascoltare ma anche molto determinato, con un sorriso dolce e accattivante») e ricordare il suo amore per la Fiat: «Si sforzava perché Fiat restasse grande, un vanto per Torino e per l'Italia. Nessuno poteva pensare di sottrarre a Torino e all'Italia la Fiat. Me lo disse in quegli anni difficili: “Nessuno ce la può portare via, la famiglia farà la sua parte”. E poco prima di lasciarci mi parlò del dottor Marchionne e della possibilità che fosse lui l'uomo su cui la Fiat poteva contare». A soffermarsi sull'impegno politico del Dottore l'ex premier Enrico Letta: «La scelta di campo di schierarsi con la Dc era avvenuta in una stagione politica complessa, in cui il tema dominante era quello del “sorpasso” del Pci sulla Dc. Agnelli era fermamente convinto che il futuro dell'Italia si giocava in Europa».
Nel discorso di Marchionne non è mancato il riferimento ai difficili rapporti tra Agnelli «e un certo manager» (l'ex ad Giuseppe Morchio il quale, scomparso il Dottore, si era vanamente proposto come nuovo timoniere del gruppo).
«Non credo - ha proseguito Marchionne, ricordando Umberto - che avrebbe potuto esserci una persona più adeguata in quel frangente storico». Andrea, attuale presidente della Juve della quale il papà era stato, come ricordato da Nedved, «il presidente più giovane», ha descritto Umberto come «leader silenzioso; erano i suoi comportamenti e non le sue parole a fare la differenza». «La forza della normalità - ha concluso Andrea - credo abbia guidato papà in tutta la sua vita: il modo migliore per consegnare alle generazioni future un patrimonio di valori non strettamente economici, così come è successo a noi».
In serata, a Torino, le parole di Gianluigi Gabetti, ex condottiero di casa Agnelli.

E anche il presidente d'onore di Exor è tornato sul tema Morchio: «Sull'auto, il Dottore aveva grandissima preoccupazione, perché non aveva molta fiducia in Morchio. Mi disse di tenere tutto sotto controllo. Umberto e l'Avvocato erano diversi, ma credevano nelle stesse cose, negli stessi principi e soprattutto amavano la Fiat, verso la quale sentivano una responsabilità forte».

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