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Donne: troppo poche al timone

Nel mondo finanziario la compagine femminile rappresenta il 43% della forza lavoro, ma solo lo 0,5% dei dirigenti. La legge sulle quote rosa sarà in grado di colmare il gap? Se ne è discusso in una tavola rotonda organizzata da BancaFinanza

Donne: troppo poche al timone

Una nuova forma di ghettizzazione o un punto di svolta positivo nel complesso rapporto tra la donna e il mondo del lavoro? È questo il dilemma che molti osservatori si sono posti dopo l'approvazione della legge 120/2011 sulla regolamentazione della presenza femminile nella corporate governance delle imprese quotate. Le opinioni sono discordanti. Ma molti osservatori concordano su un punto: senza un cambiamento di approccio, senza una nuova cultura, non si arriva da nessuna parte. Come ha affermato Lella Golfo, una delle firmatarie della legge, in un incontro organizzata dalla Fondazione Bellisario, «i paesi europei che crescono hanno tassi di occupazione femminile superiori al 60%, una cultura della condivisione dei carichi familiari e un elevato supporto alle famiglie, pubblico e privato».

D'altra parte, come ha sottolineato Fréderic de Courtois, amministratore delegato di AXA MPS, in un convegno organizzato dal gruppo nato nell'ottobre del 2007, «ci sono evidenze della maggiore capacità di collocamento di soluzioni di protezione a un target femminile nelle filiali con titolari donne, così come costituisce un'ulteriore sfida il recupero di valori femminili nella comunicazione e nella relazione con il cliente per interpretare e rispondere al meglio ai bisogni di una società in cambiamento».

La situazione italiana, inutile ricordarlo, è ben diversa. E il mondo finanziario è messo ancora peggio. Secondo i dati dell'Abi, la presenza di donne tra i dirigenti non supera lo 0,5% - tutto questo mentre le donne sono il 43% della forza lavoro, con una dinamica paritaria nelle assunzioni e un turnover addirittura superiore. Perché, dunque, le donne sono quasi la metà delle risorse umane in banca mentre non raggiungono l'1% tra i dirigenti? Quali sono le prospettive per le donne nel mondo finanziario? A questa domanda ha provato a rispondere una tavola rotonda organizzata da BancaFinanza e moderata dal direttore Angela Maria Scullica e da Filippo Cucuccio, assistente del presidente dell'Associazione nazionale per lo studio dei problemi del credito, a cui hanno partecipato Daniela Condò, responsabile comunicazione istituzionale e interna di Dexia-Crediop, Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi, Germana Martano, direttore generale di Anasf, Teresa Cristiana Naddeo, amministratore di Zenit sgr, Matilde Carla Panzeri, presidente di Non performing loans e membro del collegio dei revisori Consob, Tiziana Tafani, esponente dell'ufficio relazioni sindacali di Abi e Tiziana Togna, responsabile divisione intermediari di Consob.

Domanda. Quali sono le azioni principali da compiere per l'inserimento professionale delle donne?

Naddeo. Fondamentalmente tre. Primo, la formazione scolastica e lavorativa: ciò che si apprende nei primi anni di lavoro è determinante per poter aumentare sia il bagaglio tecnico sia quello relazionale. Il secondo elemento è legato alla crescita professionale e all'aggiornamento. Come si usa dire, «non pensare mai di essere arrivata». Infine, non trascurerei il fattore fortuna: il capo giusto da cui imparare, trovarsi al posto giusto al momento giusto e così via.

Martano. Fin da quando ho cominciato a lavorare, prima come redattrice a MilanoFinanza, poi come responsabile dei contenuti economici per il portale Omnitel2000, quindi in Morningstar e infine in Anasf, ho puntato ad accrescere e valorizzare la mia professionalità. Per le mie scelte hanno giocato un ruolo rilevante sia mio marito, che mi ha sempre sostenuta nell’obiettivo di trovare un equilibrio tra aspirazioni professionali e cura della famiglia, sia le persone che ho incontrato nella mia vita lavorativa. Alla fine dell'Ottocento, Charlotte Whitton, diceva che «qualsiasi cosa facciano le donne, la devono fare due volte meglio degli uomini per essere considerate valide la metà», aggiungendo però che «fortunatamente ciò non è difficile». In questo caso, devo dire che la resistenza fisica ha giocato e gioca tuttora il suo ruolo. Ma ne è valsa la pena.

Panzeri. Ho iniziato la mia esperienza lavorativa nel 1968, all'ufficio fiscale di Bankitalia a Roma. Allora ero una giovane laureata a pieni voti all’università di Pisa, concludendo gli studi di Economia e Commercio presso la scuola Pacinotti, sezione della scuola Normale superiore per le Scienze applicate, oggi scuola Sant’Anna. Poi ho scelto di entrare in Banca d’Italia, istituzione nella quale le donne erano ammesse a concorrere all’assunzione ai primi gradi della carriera direttiva solo da due anni, e non esistevano esempi diversi da quelli delle segretarie, peraltro molto brave, che mi guardavano storto perché avevo rifiutato di indossare il grembiule di ordinanza. I fattori che mi hanno guidato nell’affrontare le difficoltà della carriera, che ho concluso da funzionario generale nel 2008, sono stati l’approfondimento della conoscenza della materia e il senso del dovere in un ambiente dove la meritocrazia era, e ha continuato a essere, dominante. Ho vissuto in un ambiente di lavoro molto maschilista, ma dove si va avanti in virtù non delle «conoscenze» ma della conoscenza della «materia». E dove quello che conta è fornire la soluzione dei problemi, indipendentemente dal fatto che si sia donna o uomo. Sono stata fortunata nel non avere sensazioni di discriminazione. Ho imparato che i limiti alle proprie ambizioni non devono mai derivare dalla sfera dei contatti, ma dalle capacità, insieme a una tendenza alla leadership che privilegi il lavoro di squadra e valorizzi il talento dei collaboratori. Di entrambi i generi.

Gervasoni. Per inserirsi nel mondo del lavoro bisogna avere un buon curriculum scolastico e dimostrare di aver voglia di impegnarsi. Gli sviluppi di carriera sono, poi, basati sulle competenze e sulle capacità di affrontare momenti di stress con grinta, senza mai perdersi d’animo.

Togna. Le priorità sono sia nella delicata fase dell’accesso al mercato del lavoro, sia nei successivi momenti di sviluppo professionale, come la formazione, la determinazione accompagnata da una grande passione per ciò che si fa, il continuo aggiornamento professionale che alimenta direttamente il proprio livello di competenze.

Tafani Ritengo anch’io che sia la passione per il proprio lavoro a rappresentare la chiave di volta. Una passione che naturalmente non deve essere fine a se stessa, ma corroborata da un ottimo curriculum scolastico, da una marcata determinazione a mantenersi aggiornati e da una spiccata tendenza a mettersi continuamente in gioco. Talento e volontà mi sembrano, quindi, il giusto mix per favorire sia l’inserimento di una giovane risorsa nel mondo del lavoro, sia un'adeguata carriera.

Condò. Dopo la conclusione dei miei studi in campo giuridico a 22 anni e il conseguimento dell’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato per me, non essendo di famiglia particolarmente agiata, si è presentato in modo urgente l’imperativo di entrare nel mondo del lavoro. L’ingresso in un’istituzione finanziaria come il Crediop (oggi Dexia Crediop) ha costituito un banco di prova formidabile per le mie capacità professionali e uno stimolo a migliorarmi continuamente. Dal settore legale al quale ero stata inizialmente assegnata sono poi passata a quello della comunicazione, divenendone responsabile e creando ex novo un settore prima inesistente, e ho anche provveduto a contribuire a costruire best practice aziendali.

D. Quali aspetti concreti del mondo del lavoro presentano elementi di particolare criticità?

Martano. Premesso che ritengo di appartenere a una fascia di donne più fortunate, perché ho potuto fare le mie scelte professionali con serenità, le criticità maggiori che ho incontrato riguardano l’organizzazione dei tempi della vita. Il che non vuol dire dover fare i salti mortali, che pure facciamo, per conciliare lavoro e vita privata, ma significa riuscire in un arco temporale più ampio a bilanciare le attese e le aspirazioni. Continuando a fare riferimento alla mia esperienza professionale, posso dire che ho detto no ad alcune pur interessanti offerte di lavoro, ma nessuno dei miei no è stato per me una rinuncia, bensì frutto della valutazione che i tempi non erano maturi per quella scelta. Così facendo, oggi ho due figlie di 9 e 12 anni, che sono riuscita a seguire senza per questo rinunciare a qualcosa. Quanto al ruolo in azienda, probabilmente per la conformazione delle realtà in cui ho lavorato, non ho sviluppato l’attitudine alla competizione, ma mi sono solo potuta esercitare sulla affermazione della leadership. Su questo punto desidero aggiungere che l’autorevolezza non è questione di genere, ma solo di carattere.

D. Si può affermare che le diversità di genere e la gestione delle diversità sono due facce dello stesso problema?

Togna. Voglio porre l’accento su due aspetti che trovo critici. Il primo è la carenza di servizi per la famiglia, che chiama in causa un modello di welfare sociale che in Italia presenta notevoli margini di miglioramento. E che spiega bene la crescita del divario tra uomo e donna nella partecipazione al lavoro nelle fasce centrali di età, che sono poi quelle che coincidono con la maternità e la cura dei figli. Il secondo aspetto critico è l’affermarsi, nel mondo del lavoro, di una cultura del presidio, legata al numero delle ore passate in ufficio a scapito di quella - a mio modo di vedere ben più rilevante - dei risultati conseguiti in virtù delle prestazioni professionali apportate.

Gervasoni. Per una donna è più difficile conciliare il lavoro con la famiglia, e questo vale soprattutto quando si hanno figli. Certo, riferendomi al mio caso devo dire che non ci sono state discriminazioni economiche: da un lato, essendo un’accademica, ho uno stipendio standard; dall’altro, come direttore generale di Aifi, il mio profilo di carriera è abbastanza atipico, e quindi difficilmente confrontabile con altre figure professionali. Voglio anche aggiungere che sotto il profilo del ruolo non ho avuto particolari difficoltà a confrontarmi con superiori, colleghi e dipendenti. La considerazione conclusiva su questo versante è che sia importante mantenere sempre un atteggiamento molto professionale, indipendentemente dal genere di appartenenza.

Naddeo. La mia convinzione è che le donne, professionalmente, non abbiano particolari problemi ad assumersi responsabilità di livello elevato o a esercitare i relativi ruoli. Credo piuttosto che esista un problema di quanta capacità debba avere una donna nel proprio percorso di carriera per essere credibile professionalmente e, di conseguenza, per raggiungere posizioni di vertice. Vorrei anche sottolineare che non conosco donne poco qualificate in posizioni di vertice o nei board di importanti società mentre, purtroppo, mi sono ritrovata a dover gestire capi uomini professionalmente poco dotati. Infine, per quanto riguarda il trattamento economico, in Italia la retribuzione media delle donne con mansioni equivalenti a quelle degli uomini è inferiore di circa il 20%.

Panzeri. Nel mondo del lavoro esistono discriminazioni nel trattamento economico tra uomini e donne, ma nella mia esperienza personale, dentro e fuori dalla Banca d’Italia, questo aspetto non l’ho constatato. Diversa è la valutazione dell’assunzione (meglio: dell’attribuzione) di responsabilità. Di cinque donne vincitrici del concorso per l’assunzione in banca, sono rimasta solo io fino al livello massimo della carriera. E non è un caso che io, sposata e divorziata, non abbia avuto figli. Il modello di leadership dominante, che io dovevo seguire, era tipicamente maschile, con ritmi di lavoro e di riunioni che non potevano consentire un equilibrio tra impegni familiari e professionali più ambiziosi per chi aveva figli o anziani da seguire. E ciò soprattutto in un clima sociale che ignorava l’apporto del coniuge nella conduzione della famiglia, e gli orari di asili nido o scuole materne non erano compatibili con quelli richiesti dall’assolvimento di impegni di maggiori responsabilità manageriali. Comunque ritengo che le donne, spesso più determinate degli uomini, riescano sempre meglio a organizzarsi con sistemi di mutua solidarietà. Vorrei, infine, spendere una parola su quanto sia necessario intervenire per ridurre il senso di inadeguatezza che spesso blocca le donne di fronte a compiti di maggiori responsabilità: occorre porre la persona direttamente nel ruolo per vederne scaturire tutta l’energia del talento nascosto. E la persona in questione deve cogliere l’opportunità e affrontare una nuova sfida.

Tafani. Sì, sono d’accordo: è davvero difficile per una donna conciliare i tempi del lavoro con quelli della gestione della vita privata e familiare. Solo un dato per suffragare questa considerazione: in Italia, mediamente, oltre il 71% delle incombenze familiari ricade sulla donna, una percentuale che sale ulteriormente al sud, sfiorando addirittura il 75%. Inoltre, per l'Istat, l’indice di asimmetria nell’allocazione dei lavori domestici è particolarmente squilibrato a svantaggio della donna anche quando è l’unica che percepisce uno stipendio (64%). Per non parlare del caso in cui la donna è priva di reddito autonomo (84%). Ritengo, però, che proprio l’attuale crisi economica potrà rappresentare una svolta che favorisca anche in Italia, come già avvenuto in altri contesti, un modello di vita familiare più equilibrato nella distribuzione dei compiti. E anche una formula di welfare che preservi più efficacemente il ruolo della donna nell’ambito delle sue mansioni lavorative e delle sue opportunità di crescita professionale.

Gervasoni. Su questo versante, ritengo che la progressione di carriera di persone di genere differente contribuisca a rendere eclettico un team. E aggiungo che il contributo femminile può aiutare a rivedere i ritmi e le metodologie di lavoro. In realtà la donna è abituata a gestire più cose, visto che sta a lei la necessità di conciliare la famiglia con il lavoro. Oggi la società deve ancora adattarsi e prendere atto del fatto che quasi tutte le donne lavorano. Ma la cosa più difficile è creare pari opportunità nei progressi di carriera.

Martano. L’esercizio migliore che tutti siamo chiamati a fare è quello della valorizzazione delle diversità. Se il gap culturale che ci divide dalle generazioni precedenti in merito all'immagine precostituita dei generi è stato superato, e se anche il periodo di affermazione delle donne su modelli maschili mi sembra dietro le spalle, gli anni a venire richiedono un notevole sforzo per migrare le pratiche di vita positive degli uomini e delle donne, con un vantaggio a nostro favore. Nessuno può dirci che la società odierna è il frutto degli errori delle donne: può essere vero solo il contrario. Ora la sfida è mostrare che possiamo fare anche meglio.

Togna. Per affrontare questo punto è necessario tenere a mente alcune considerazioni di base. La prima: nell’ambito delle differenze, il ruolo sociale assegnato alle donne non è il frutto di un fattore biologico, ma il consolidamento nel tempo di un costume. La seconda sposta l’attenzione sull’obiettivo di migliorare le politiche di conciliazione tra vita privata e professionale. La terza, infine, ci ricorda che le donne rappresentano la metà della forza lavoro complessiva, ma sono fortemente sottorappresentate nelle posizioni professionali di prestigio.

Condò. In questa discriminazione della donna sul versante della professionalità colgo una dimensione socio-antropologica. Si tratta di un tema secolare dalle molteplici sfaccettature, compresa quella realmente drammatica della violenza sulle donne; ne è dimostrazione la triste e preoccupante cronaca di questi giorni. È, quindi, un problema culturale che può essere affrontato con strumenti adeguati, iniziando da una formazione che faccia capire a tutti, ragazzi e ragazze, il ruolo paritario della donna nella società civile e nel mondo del lavoro. Solo così, forse, si può sperare di rovesciare logiche perverse, come quelle a cui siamo state costrette ad assistere nei nostri ambiti professionali. Un esempio è il vezzo (si fa per dire) del capo-collega maschio che adotta la politica del divide et impera tra le proprie collaboratrici. Viceversa, ritengo che proprio l’uomo possa trasformarsi da volano di discriminazione in snodo di superamento delle diversità.

Panzeri. Le differenze di genere esistono e sono un fatto: gestirle diviene un'opportunità che richiede azioni concrete a medio e lungo termine. Nel senso che nessuno nasce manager, ma lo può divenire con un progetto di investimento in formazione e valorizzazione delle qualità personali che esprimono il talento di ciascuno. Un tempo il maschio dominante usava la leva della rivalità tra donne per separarne il percorso. E la mia generazione in parte ne ha sofferto. Ma la tendenza delle donne in carriera, soprattutto se giovani, è sempre più quella della solidarietà, dello scambio di pareri di esperienze, di consigli chiesti alla collega di grado più elevato, senza remore. E tra i giovani che oggi studiano e fanno master in università straniere e vivono esperienze lavorative al di fuori del paese di origine, si avverte sempre meno, o non si avverte del tutto, una differenza di genere. Questo atteggiamento può esprimere un potenziale superamento delle differenze anche nel mondo del lavoro nel nostro paese.

Tafani. Concordo con Gayle Rubin, che già nel 1975 affermava: «Gli uomini e le donne sono, è ovvio, diversi. Ma non così diversi come il giorno e la notte, la terra e il cielo … la vita e la morte… L’idea che siano diversi tra loro più di quanto ciascuno di essi lo è da qualsiasi altra cosa deve derivare da un motivo che non ha niente a che fare con la natura». Evidentemente si tratta di affrontare con armi adeguate la necessità di cambiare un modello culturale purtroppo ormai stratificato e consolidato nella nostra società civile. E gestire in modo appropriato la diversità di genere come qualsiasi altra diversità richiede tempo e impegno prolungati. C’è allora da chiedersi quanto siamo ancora lontani dall’attuazione di una risoluzione del Parlamento europeo dello scorso marzo, dove si sottolinea che una delle priorità di Europa 2020 è il maggior inserimento delle donne nel mondo del lavoro, in modo da raggiungere entro quella data un tasso di occupazione femminile pari al 75%.

Naddeo. Le differenze di genere hanno indiscutibilmente un impatto sul mondo del lavoro ma si possono gestire, anzi devono essere gestite, come nei casi della maternità, della cura dei figli e spesso anche degli anziani. La gestione delle diversità si impone in una società civile che ha bisogno della capacità delle donne come di quelle dei giovani. È un capitale intellettuale che non ci possiamo più permettere di sprecare.

D. Pari opportunità: che cosa si può fare per favorire il raggiungimento di questo obiettivo?

Condò. Un mezzo utile può essere la diffusione e l’applicazione negli ambiti aziendali di «carte dei valori» che siano realmente condivise e non rimangano esercizi di sterile riflessione letterario-filosofica. Questo obiettivo va perseguito abbinando la diplomazia alla tenacia, per superare anche con la comunicazione le stratificate incrostazioni che nel mondo del lavoro ostacolano un’effettiva condizione di parità della donna. Mi piace, poi, sottolineare quanto sia importante il ruolo delle «donne arrivate» per favorire un reale passaggio di testimone con le generazioni successive, anche per prevenire il rischio di regressioni. Infine, vedo anch’io questo momento di difficoltà come un’opportunità per valorizzare il ruolo della donna.

Tafani. Credo che sia opportuno ricordare, con riferimento al mondo bancario, come il rinnovo del contratto nazionale di settore del 2012 abbia previsto, all’articolo 24, l’istituzione di una commissione paritetica di studio in tema di pari opportunità e di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. L’Abi aveva, inoltre, già aderito all’avviso comune del marzo 2011, dove si puntava a valorizzare forme di flessibilità, con particolare riguardo alla modulazione degli orari e dei tempi di lavoro. Tra l'altro, il 2012 non è stato, per il mondo bancario, l’anno zero del worklife balance, perché, rinnovo dopo rinnovo, gli strumenti di welfare contrattuali si sono continuamente arricchiti. Su un piano normativo più ampio vorrei anche ricordare la legge 94/2012, dove si prevedono misure innovative, come il congedo parentale per il padre entro i primi cinque mesi dalla nascita o la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting. Tornando alle azioni in tema di pari opportunità, vorrei suggerirne tre: interventi normativi per incentivare, attraverso adeguate misure fiscali, le aziende che promuovono l’occupazione femminile; rimozione di quei fattori culturali e di autocensura che spesso ostacolano lo sviluppo professionale delle donne e la loro assunzione di responsabilità di vertice; necessità di colmare il divario tecnologico che, non di rado, costituisce un fattore di penalizzazione per le donne nel loro approccio al mondo dei servizi finanziari e che invece potrebbe rivelarsi cruciale in chiave di ottimizzazione dei loro tempi e delle loro opportunità di relazione con la banca.

Martano. Ecco le azioni che mi sembrano utili: incentivi all’assunzione di donne su tempi che integrino la vita professionale nel ciclo di vita, job sharing, assistenza alle famiglie per il tempo della cura dei figli e degli anziani e, infine, anche se avrei dovuto citarla per prima, una puntuale attuazione di quell’articolo della costituzione italiana che prevede pari diritti alla lavoratrice donna.

Gervasoni. Trovo che sia molto importante aiutare le donne più giovani, quelle che vivono la fase più critica negli stessi anni, combattute tra il realizzarsi professionalmente e costruire una famiglia. Questo ruolo può essere svolto anche all’interno delle aziende da figure che svolgono attività di mentoring. Non trascurerei poi l’obiettivo di evitare disparità nel trattamento economico. E, infine, sul fronte sociale ritengo che si può fare molto di più, e che devono essere migliorati i servizi di assistenza, dei figli e degli anziani.

Panzeri. Un ruolo importante è rivestito dai fattori culturali e da quelli sociali. Paradossalmente, la crisi finanziaria aiuta a creare le condizioni per un cambiamento verso l’efficienza e la meritocrazia. E ciò in un clima che la politica deve favorire, creando meccanismi per una selezione meritocratica che sia «conveniente» anche per la politica e per le imprese e che scelga sulla base «della conoscenza» e non già «delle conoscenze». Non si deve più pensare che la presenza femminile sia accettata solo come elemento decorativo, come è nel sistema capitalistico contemporaneo. L'esempio di donne che, non avendo subito la corrosione dell’esercizio del potere, possono dare prova di integrità morale, può dare forza al cambiamento.

Naddeo. Mi limiterei a tre azioni. Penso che la legge sulle quote, se ben applicata, possa essere un momento di propulsione sul cammino delle pari opportunità. In secondo luogo, ricorderei l’importanza della formazione universitaria: trattando i temi della diversity nei corsi di laurea si consente di far capire le difficoltà e i problemi che si dovranno affrontare nei percorsi di carriera, fornendo gli strumenti per superarli e per non disperdere i talenti. Non è un caso che oggi anche molte aziende italiane nelle loro funzioni di human resources prevedano un dipartimento che si occupi di diversità per meglio valorizzare i talenti aziendali. Infine vorrei ricordare una terza azione, espressione di società civili più evolute: l’introduzione di una maggiore flessibilità del lavoro legata alle opportunità di svolgerlo anche da casa con modalità non solo part time, ma anche svincolate dalla presenza fisica in azienda. A me sembra importantissimo che le donne, anche nel momento in cui sono fisicamente lontane dal luogo abituale di lavoro, possano continuare a fornire un significativo contributo senza doversi anche mentalmente allontanare dal proprio ruolo, cosa a cui sono a volte costrette quando sono in maternità, con un riflesso importante anche sul loro percorso di carriera.

Togna. Vorrei citare anche io l’importanza del potenziamento dei servizi alla famiglia e all’infanzia. Ritengo poi essenziale l’introduzione di un livello di maggiore flessibilità e di una distribuzione più equilibrata tra uomini e donne. Se effettivamente si vuole incrementare il numero delle donne al vertice, non è sufficiente dare loro maggiore disponibilità di tempo per gestire il doppio incarico lavoro-famiglia, ma soprattutto attuare una ripartizione più equilibrata dei carichi familiari tra i due generi. E qui non mi nascondo che c’è molto da fare anche per avere un cambiamento culturale delle stesse donne. Una terza azione riguarda le iniziative concrete per sanare la disparità di trattamento economico, altra nota dolente della condizione femminile.

D. Ritenete che le «quote rosa» siano la strada maestra per superare la disparità uomo-donna?

Togna. Per me le «quote rosa» sono un mezzo per eliminare il monopolio di genere. In tutti i processi di liberalizzazione, le regole hanno fatto emergere la concorrenza: nel caso del monopolio di genere, le regole intendono far emergere un immenso patrimonio di competenze che altrimenti rimarrebbero sepolte sotto una coltre fatta di criteri di selezione sociali e culturali prima che economici. Possono forse considerarsi una violazione del principio meritocratico? Non credo proprio: le quote rosa si applicano dove le nomine non corrispondono a una valutazione oggettiva, ma a una logica fiduciaria. Inoltre, sempre più studi confermano che l’equilibrio di genere crea valore nelle aziende.

Gervasoni. Sono convinta che questa legge abbia avuto il merito di segnalare il fatto che esiste la possibilità, per un numero consistente di donne di ricoprire cariche di vertice. È stata, quindi, una spallata a consuetudini acquisite e penalizzanti.

Condò. Anch'io ho temuto che si trattasse di una nuova forma di ghettizzazione. Ma mi sono presto ricreduta di fronte all’evidenza dei fatti, cogliendone, invece, l’elemento positivo che concorre ad avviare a soluzione il problema della discriminazione femminile.

Martano. Se la norma avesse recepito prima la realtà in mutamento, oggi probabilmente non se ne parlerebbe più. Inoltre, ritengo che anche solo in via transitoria la definizione di quote per legge sia lo strumento per far affermare le tante donne capaci che questo paese può vantare. È uno strumento e come tale va giudicato.

Naddeo. La legge avrà il pregio di rompere alcuni schemi consolidati e sclerotizzati nella governance delle società italiane. E mi auguro possa essere anche l’occasione per la società civile di ripensare al nostro modello di sviluppo economico.

Panzeri. Io non ero favorevole alla legge sulle «quote rosa», ma solo nei periodi di discussione e approvazione della norma. Poi ho preso atto che il provvedimento, che preferisco chiamare sulle «diversità di genere», ha una valenza strategica insostituibile per forzare un sistema che, in Italia, avrebbe impiegato decenni per raggiungere gli stessi obiettivi.

Occorre tuttavia fare dei distinguo: la legge consente alle donne di creare una strategia di rivendicazione individuale dei loro diritti, ma con il rischio che consenta una ulteriore scusa per «piazzare» le donne solo sulla base «delle conoscenze». L’unico modo per affermare i diritti delle donne è quello di fare una battaglia sul merito.

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